Cronache

Il dispenser, i capelli, la finestra: perché Stasi resta colpevole

Non ci sono "prove nuove" per riaprire il caso di Garlasco. La Cassazione ha rigettato la revisione presentata dagli avvocati di Alberto Stasi

Il dispenser, i capelli, la finestra: perché Stasi resta colpevole

Non ci sono "prove nuove" alla base dell'istanza di revisione presentata da Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, consumatosi nella villetta al civico 8 di via Pascoli, a Garlasco, il 13 agosto 2007. Così la Cassazione, condividendo quanto sostenuto dalla Corte d'appello di Brescia, spiega il motivo per cui lo scorso 19 marzo, ha rigettato il ricorso presentato da Laura Panciroli, legale del 34enne.

La richiesta del pool difensivo

A giugno del 2020, l'avvocato Laura Panciroli, legale di Alberto Stasi, aveva annunciato a mezzo stampa di aver formalizzato la richiesta di revisione della sentenza a carico del suo assistito, già recluso nel carcere di Bollate per il reato di omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione. ''È stata depositata una articolata richiesta di Revisione della sentenza che ha condannato a 16 anni di reclusione Alberto Stasi per la tragica morte di Chiara Poggi'', aveva spiegato il legale precisando di avere in pugno ''nuovi elementi'' che avrebbero scagionato il giovane da ogni indizio di colpevolezza. ''Sono stati individuati e sottoposti al vaglio della competente Corte di Appello di Brescia elementi nuovi, mai valutati prima, in grado di escludere, una volta per tutte, la sua responsabilità. - aveva proseguito - Le circostanze su cui era basata la sua condanna (le stesse, peraltro, sulle quali era stato prima, ripetutamente, assolto) sono ora decisamente smentite . Si è sempre dichiarato innocente e in molti hanno creduto che la verità andasse cercata altrove. Ora ci sono elementi anche per proseguire le indagini''.

Quattro mesi dopo, alla data del 10 ottobre 2020, la Corte d'Appello di Brescia si era espressa in merito alla richiesta del pool difensivo. La decisione era stata perentoria e insindacabile: ''Nessuna revisione della sentenza''. Per il collegio giudicante non vi erano elementi significativi in grado di provare l'estraneità di Stasi alla tragica vicenda. ''Gli elementi fattuali che si vorrebbero provare con le prove nuove non sono stati comunque ritenuti idonei a dimostrare, - scriveva la Corte - ove eventualmente accertati, che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, debba essere prosciolto, permanendo la valenza indiziaria di altri numerosi e gravi elementi non toccati dalla prove nuove''.

Il "no" della Cassazione e le motivazioni

Il 19 marzo del 2020, la prima sezione penale della Cassazione aveva confermato, in via definitiva, la pronuncia della Corte d'Appello di Brescia. Secondo gli ermellini non vi erano "elementi nuovi" per riaprire il dibattimento. La richiesta di revisione da parte del pool difensivo di Alberto Stasi, faceva capo ad alcuni reperti che non erano stati valutati nelle altre sedi processuali. In particolare, i legali del 34enne avano alle impronte presenti sul dispenser di sapone in bagno, dei capelli sul lavandino, e alcune circostanze relative a una testimonianza che non erano mai state oggetto di indagine. Ma per i giudici della Cassazione, il carico probatorio prodotto dagli avvocato di Stasi non era tale da minare la sentenza di condanna definitiva per omicidio volontario emessa il 2 dicembre 2015.

Le impronte sul dispenser e i capelli

Nella sentenza depositata oggi dalla prima sezione penale, la Suprema Corte ha subito snocciolato la questione relativa alle tracce sul dispenser di sapone, rilevando che "da una parte la convinzione dei giudici del rinvio dell'avvenuta pulitura del dispenser dopo che l'assassino si era lavato le mani derivava anche da ragionamenti di tipo logico discendenti da nuove emergenze probatorie, dall'altra era stata valorizzata la posizione delle impronte di Stasi sul dispenser e il dito coinvolto per dedurre che le impronte fossero state lasciate dopo il lavaggio delle mani, del lavandino e del dispenser stesso; il tutto nella consapevolezza che sull'oggetto fosse presente il dna di Chiara Poggi e che, quindi, il lavaggio non aveva reso l'oggetto totalmente immune da tracce": per questo, "non si può ritenere che i giudici non avessero presenti le condizioni del dispenser".

Dunque, Stasi resta in carcere.

Commenti