Scena del crimine

La "vita", la droga, la morte: quel "mostro" dal mantello cremisi

Lo chiamano il “Mostro di Modena” ma nessuno conosce i connotati del suo volto. Tra Il 1983 e il 1994, dieci donne vengono assassinate brutalmente. Delitti commessi dalla stessa mano? Ancora oggi la vicenda resta avvolta nel mistero

La "vita", la droga, la morte: quel "mostro" dal mantello cremisi
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Gli anni ‘80 rappresentano per Modena il periodo di pole position nera per il consumo di droga e prostituzione. Ai margini sociali e culturali però non si consumano solo sostanze stupefacenti, ma anche omicidi imbevuti di un mistero lungo trentacinque anni.

I primi omicidi

Il 15 novembre 1983 la città si sveglia con una notizia che lascia molti indifferenti. Viene trovato il corpo inerme di Filomena Gnasso. È una donna che lavora per strada e per questo motivo il caso viene ascritto al racket della prostituzione. “Se l’è andata a cercare”, dice chi ha letto le poche righe di cronaca che ne parlavano.

Dopo due anni però, alle porte della città, un cadavere giace vicino a una fornace abbandonata. Appartiene a Giovanna Marchetti e i suoi tratti sono sfigurati. Qualcuno aveva deciso di eliminare per sempre quel viso con una pietra ritrovata vicino al corpo. Anche lei una donna che guadagnava denaro attraverso il suo corpo e lo spendeva per comprare le dosi di eroina.

Mostro di Modena
Scena del docufilm "Il Mostro di Modena"

In un luogo in cui le morti per tossicodipendenza sono quasi quotidiane, l’omicidio di una ragazza che vendeva le sue prestazioni fisiche per droga, non fa molto rumore. Trovare l’assassino non è una priorità. A rilento, le indagini portano erroneamente a un agricoltore, poi rilasciato. Successivamente un altro ipotetico indiziato è il fidanzato di Giovanna, collegato all’omicidio solo a causa del consumo di sostanze stupefacenti, ma il movente cade subito. L’indagine si ferma.

Un’altra donna cui toccò oltre che una vita, anche una morte agli estremi della considerazione umana, è la ventiduenne Donatella Guerra: una coltellata alla carotide e poi al cuore la notte dell’11 settembre 1987. La città fa spallucce, gli inquirenti non tengono conto di due indizi: l’impronta delle ruote di una Fiat 131, mezzo utilizzato spesso dalle forze armate, e quello di una scarpa. Sia il segno dello pneumatico che della suola non verranno mai analizzati.

Questa volta però qualcuno può rivelare dettagli utili. La sera in cui Donatella sale sulla macchina di chi la vedrà per l’ultima volta, si trova assieme a Marina Balboni. Le informazioni che potrebbero risolvere il caso però muoiono insieme alla giovane, strangolata e gettata su una strada. “Devo incontrare una persona importante”, le uniche parole scritte quel giorno sull’agenda che portava con sé.

Di Claudia Santachiara il corpo rinvenuto a due anni dall’ultimo delitto. Al collo ha ancora il cappio che è servito per strangolarla. Stesso stile di vita: prostituta tossicodipendente, medesimo anche il disinteresse a trovare chi è riuscito a mettere fine alla sua vita.

Le indagini private di un giornalista

Nel frattempo Pier Luigi Salinaro, giornalista di cronaca nera, comincia a valutare le correlazioni tra tutte le morti. L’indizio numero uno è il rintocco di paura e violenza scandito ogni due anni. Anche i punti in cui si trovavano le vittime sono stati scelti con cura. Le vittime poi sono legate da un unico ambiente, quello della strada. In ultimo: mancano i documenti e gli effetti personali delle ragazze. Senza alcun dubbio una strategia per prendere tempo.

Salinaro è il primo che parla per la prima volta di “serial killer”, ma le sue parole restano indifferenti alla procura.

L’omicidio che depista le ricerche

Ogni convinzione di Salinaro è annullata da un punto che mette fine al “rituale” biennale. Il punto in questione è Fabiana Zuccarini, trovata “solo” meno di un anno dopo l’ultima follia. Si tratta di una ragazza semplice, non si prostituisce. Il modus operandi del killer seriale vacilla. In realtà, come anche Salinaro afferma, non si differenzia troppo dagli altri casi perché, benché non si prostituisse, assumeva con ogni probabilità sostanze stupefacenti.

"In quella circostanza fu individuata un’auto che, secondo qualcuno, aveva caricato Fabiana Zuccarini nella zona del parco Novi Sad di Modena, vicino la Stazione delle corriere. La stessa autovettura è stata poi individuata vicino a un bar da cui sarebbe scesa la Zuccarini dichiara a IlGiornale.it Salinaro - Da quel momento le tracce di Fabiana si perdono assieme ai conducenti dell’auto per un lungo periodo. Questa stessa macchina è stata poi sequestrata dai carabinieri e analizzata, facendo sorgere dei sospetti. Il desino ha però voluto che il proprietario dell’auto morisse con un incidente e con lui ogni ipotesi riconducibile al crimine”.

Il caso di Fabiana Zuccarini ha dell'incredibile. Il pm, che avrebbe dovuto recarsi immediatamente sul posto per analizzare la scena del crimine, non si mosse mai dal suo ufficio e dunque: anche questa volta, il delitto fu considerato marginale. Un’altra morte. L’intervallo tra un omicidio e un altro questa volta è di pochi mesi. La settima vittima è un’ennesima donna che vende il suo corpo: Antonietta Sottostanti. Al Windsor Park di Modena i pompieri estraggono il suo cadavere. Non è morta soffocata dal fumo, ma da una calza di nylon premuta sulla sua bocca: qualcuno ha voluto nascondere la causa mortis.

Le ultime vittime: ritorna lo schema del serial killer

Il 4 febbraio 1992, esattamente due anni dopo, Anna Abbruzzese viene ritrovata nelle campagne di San Prospero. È una prostituta ed è stata strangolata. Lo schema di Salinaro sembra combaciare nuovamente e si rivela la pista migliore anche a fronte dell’omicidio successivo: il 26 gennaio 1994 la vittima è Annamaria Palermo trovata a Corlo, vicino a Formigine. Tutto continua a tacere e nessuno o quasi crede in un omicida seriale.

Un anno dopo però una donna che riceveva i suoi clienti nel suo appartamento, si trova riversa sul pavimento, una siringa che perfora il braccio fa intuire subito overdose, l’autopsia invece racconta che è stata soffocata. Il suo nome è Monica Abate. La prima sospettata è la convivente, Laura Bernardi. A incastrarla alcune gocce del suo sangue sul pianerottolo. Durante l’udienza preliminare del 1997 il Gip Caruso proscioglie la donna, mentre in sottofondo si sentono i boati di disaccordo. La ragione sta nel fatto che Caruso non è convinto dell’operato degli inquirenti, sospetta qualche errore fatto di proposito.

Da quel momento la gente si rende conto di quanto la sicurezza in città sia inesistente. Qualcuno tra le forze armate scambia droga per informazioni e bisogni sessuali? Scoppia come una bomba a mano il caos generale. Nasce tra le vie della città un’indignazione che cresce e si sparge. I giornalisti vogliono saperne di più e tirano fuori i nomi dei fratelli Savi, due dei quali agenti di polizia. Passa poco tempo che il confronto con il Dna scagiona tutti. Da quel momento però la scia di sangue cessa.

Ritorna il silenzio disturbato da un sottile ronzio, quello della mamma di Monica. Non crede alla pista del serial killer perché a uccidere quelle ragazze non poteva essere un solo uomo. Ne è convinta. Per questo motivo cerca di spingere chi ha le competenze per farlo a cercare i colpevoli nell’ambiente militare. Il motivo principale sta nel fatto che sua figlia aveva avuto una relazione proprio con un poliziotto poco prima di morire. Nessuno le dà retta. Buio per oltre 20 anni.

Il docufilm e i dubbi sul caso

Nell’estate del 2019 si ritorna a parlare del “Mostro di Modena” grazie al docufilm, disponibile su Sky, del regista Gabriele Veronesi che narra le vicende, senza indizi e indiziati, di una città indifferente.

Ritorna la figura di Pier Luigi Salinaro che questa volta si espone pubblicamente. È uno dei pochi che cerca ancora giustizia per queste ragazze. È fermamente convinto che durante le indagini siano stati fatti degli errori clamorosi che hanno impedito di trovare l’assassino (o gli assassini). Innanzitutto perché la procura non ha mai affidato il caso a un solo magistrato, creando confusione e perdendo tempo prezioso.

Secondo il giornalista si doveva cercare sin da subito il colpevole tra gli abitanti della città: “Si deve considerare una cosa importante: i cadaveri sono stati scaricati tutti in posti raggiungibili solo da chi conosce a memoria Modena e i suoi dintorni. Solo ed esclusivamente determinate persone potevano sapere dove lasciarle a colpo sicuro. Forse si potrebbe parlare di qualcuno che aveva già organizzato la morte di queste ragazze?”.

Tra i depistaggi vi è anche la scomparsa di alcuni documenti, come afferma Salinaro: “A un certo punto un ufficiale dei carabinieri fece un lungo rapporto sulla presunta esistenza di un’organizzazione - tipo “Uno Bianca” - che andava a colpire l’ambiente delle tossicodipendenti che saltuariamente si dedicavano alla prostituzione. Purtroppo quel rapporto è sparito. Non è nei fascicoli. Era stato affidato alla magistratura. Per questo motivo la mia ipotesi è che ci fosse una sorta di organizzazione. Non è escluso che potrebbe essere legata a uomini in divisa che eliminavano queste ragazze”.

Oggi “Mostro di Modena” è una figura che incuriosisce ma non spaventa più. Per molto tempo è stato dimenticato assieme alle sue vittime senza neanche sapere se si tratta di uno o più mostri. Certo è il docufilm di Veronesi ha scosso la coscienza della comunità e dopo la sua uscita il caso è stato affidato a un unico magistrato.

Altre vittime nascoste?

Nell'aprile del 2022 un ritrovamento agghiacciante ha riacceso i riflettori sul Modenese. A ridosso del fiume Tiepido a Torre Maina, Maranello, un uomo intento a raccogliere asparagi selvatici ha scorto un sacco in cellophane dalle forme sospette. Al suo interno, infatti, vi era il cadavere di una donna, poco distanti i brantelli di alcuni vestiti. Dato l'evidente stato di decomposizione del corpo che si trovava all'ultimo stadio, ovvero la scheletrizzazione, si ipotizza che la morte della vittima risalga a molto tempo fa. Ma esattamente di quali anni si tratta? In un periodo che coincilia con i dieci omicidi delle ragazze?

Le risposte a tutti i dubbi arriveranno solo dopo delicate e dettagliate analisi sul Dna, ma sarà necessario attendere.

Si presume, dunque, che il tempo per arrivare alla verità sarà ancora inesorabilmente lungo.

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