È diventata definitiva la condanna a 3 anni e 10 mesi di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, inflitta al magistrato calabrese Giancarlo Giusti. Oltre a lui, la Corte di Cassazione ha condannato a 3 anni e mezzo l'avvocato del foro milanese Vincenzo Minasi, e a 5 anni il coimputato Domenico Gattuso. Le posizioni delle altre due persone coinvolte nella stessa inchieste (l’imprenditore delle slot machine, Giulio Lampada, e il magistrato Vincenzo Giglio) costituiscono un filone parallelo che deve ancora arrivare davanti alla Suprema Corte. Il processo in cui tutti gli imputati erano coinvolti nasce da un'indagine della Direzione distrettuale antimafia milanese sul clan della 'ndrangheta Valle-Lampada.
Al legale era stata contestata una interpretazione troppo estensiva del suo mandato di difensore, tale da sconfinare "in una serie di comportamenti consapevolmente finalizzati ad aiutare i componenti del contesto associativo".
Giusti, invece, era stato arrestato nel 2011 perchè dal 2008 al 2010 (dapprima in quanto giudice dell’esecuzione civile a Reggio Calabria, poi giudice fallimentare, giudice penale e infine gip a Palmi) aveva nominato i professionisti che gli veniivano segnalati dal boss Lampada, nell'ambito delle sue procedure giudiziarie. E il boss, in cambio, gli aveva pagato soggiorni gratis a Milano per un totale di circa 70 mila euro, a base di viaggi aerei, hotel di lusso e prestazioni sessuali di prostitute dell’Est che il giudice aveva anche catalogato in un dettagliato diario elettronico.
Nel corso dell'inchiesta, iI giudice calabrese era finito sotto procedimento disciplinare dapprima per avere assegnato nel 2004 immobili alla società di cui era socio il suocero. Poi per aver affidato, su 945 incarichi dal 2000 al 2005, un terzo delle perizie sempre agli stessi 4 professionisti, e 116 procedure (per un valore complessivo di 300 mila euro di compensi) all’architetto sposato con la socia del suocero nella srl. Ma il procedimento disciplinare era terminato il 6 luglio 2007 con un'assoluzione del Csm che aveva riconosciuto la sua "buona fede, nel tentativo di riorganizzare un ufficio ereditato in condizioni disastrose".
Tre anni dopo, però, Giusti era finito per la terza volta sotto "valutazione di professionalità" e, come non accade quasi mai in questi casi, il Consiglio Giudiziario di Reggio Calabria aveva espresso all’unanimità un severo parere "non positivo".
Nulla da fare neppure quella volta: il Csm, che in seguito avrebbe lamentato di non essere stato avvisato dalla Dda milanese delle gravi indagini in corso, a sorpresa aveva ribaltato il parere negativo del Consiglio Giudiziario locale, e a maggioranza aveva promosso ugualmente Giusti.Solo ora, per lui, è arrivata la condanna definitiva. Almeno quella penale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.