Il femminismo ipocrita di Cecilia Sala

Cecilia Sala scrive su "X" un messaggio nel quale sostiene che in Iran si tengono molti più "rave" che in Italia e che non è vero che si viene impiccati solo perché non si rispetta il Corano

Il femminismo ipocrita di Cecilia Sala
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Sindrome di Stoccolma. La scienza psichiatrica definisce così un riflesso paradossale ma frequente che spinge la vittima a mettersi dalla parte del carnefice. Fu studiata per la prima volta nel 1973. In occasione di un sequestro di persona in Svezia. Ho l'impressione che la sindrome di Stoccolma abbia a che fare con le recenti prese di posizioni di Cecilia Sala, la giovane donna che fu tenuta prigioniera per diverse settimane a Teheran, in condizioni spaventose, e poi liberata grazie all'intervento robusto del governo italiano.

Ora Cecilia Sala scrive su "X" un messaggio nel quale sostiene che in Iran si tengono molti più "rave" che in Italia e che non è vero che si viene impiccati solo perché non si rispetta il Corano, e che poi le esecuzioni capitali, in fondo, sono non più di tre al giorno mentre le persone che non amano Maometto sono molte di più. Oltretutto - ci dice Cecilia - a Teheran è un pullulare di donne che non indossano il velo.

Un Bengodi. Dove è stato superato l'opprimente patriarcato che domina in Italia, e dove i giovani non sono perseguitati dalle odiose leggi meloniane e liberticide, e dove si respira nell'aria il profumo delle libertà. Altro che il tanfo fascista che ammorba Roma e Milano e Napoli!

Saba Poori è una ballerina iraniana fuggita dal suo Paese per una ragione molto semplice: è una ballerina. E in Iran alle donne è vietato ballare e anche cantare. Ho ascoltato l'altro giorno la sua testimonianza emozionante davanti alle telecamere di Quarta Repubblica. Colpiva la calma e il sorriso con i quali ci raccontava delle privazioni, del dolore, e ora della sofferenza per la lontananza dai suoi genitori e dalla famiglia, e per le difficoltà ad avere loro notizie.

Però ha ragione Cecilia Sala, se Saba tornasse in Persia, e danzasse in pubblico, e cantasse delle canzoni caste, non è detto che finirebbe sulla forca. Gli ayatollah non impiccano tutte le ballerine. Solo alcune. Certo non più di una al giorno. Qualcuna la mettono in prigione per un certo numero di anni, raramente all'ergastolo. Altre ancora la fanno franca.

E quindi alle mie amiche femministe come Cecilia Sala non posso non dare questo consiglio: fate una valigetta e correte in Iran, che lì potete andare al rave, drogarvi, ballare, sbeffeggiare il potere, e anche fare delle manifestazioni politiche per strada, qualche blocco stradale, paralizzare qualche fabbrica, tanto gli ayatollah non vi dicono niente, perché loro sono veri liberal, non sono mica come i feroci sgherri di Piantedosi. Gli ayatollah quando si arrabbiano forte impiccano massimo tre persone al giorno.

Naturalmente la propaganda è uno degli strumenti della lotta politica. Nessuno vuole proibirla. Neppure alle femministe e al fantasioso mondo woke. Ma anche la propaganda ha bisogno di un minimo principio di realtà. E la tesi secondo la quale in Iran c'è più libertà che in Italia, con il principio di realtà non ha nessuna parentela. Potremmo pure fregarcene e mandarli a quel paese i trombettieri del femminismo woke. Il problema è che con le loro balle oltraggiano centinaia di migliaia di donne iraniane perseguitate dal regime. È questo che fa rabbia.

Ti prende lo sconforto quando senti una femminista strepitare perché un'assessore donna non è stata chiamata assessora, e poi la vedi far spallucce di fronte a un palco, sistemato in piazza, con sette o otto omosessuali, o qualche donna blasfema, che penzolano con un cappio al collo. E magari, scrutando quei corpi, sussurra: "Beh, dobbiamo rispettare i loro costumi".

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