"Quel film non racconta di Yara, ecco gli errori che hanno condannato Bossetti"

A 11 anni dal delitto di Yara Gambirasio il film che ricostruisce il caso: "Non è fedele alla storia. I protagonisti non sono né Yara né Bossetti", dice a ilGiornale.it l'avvocato Claudio Salvagni

"Quel film non racconta di Yara, ecco gli errori che hanno condannato Bossetti"

La sera del 26 novembre 2010 Yara Gambirasio, 13 anni, scompare in circostanze misteriose da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Il cadavere della 13enne viene ritrovato in un campo aperto a Chignolo d'Isola la mattina del 26 febbraio 2011. Sul corpo ci sono segni evidenti di ferite d'arma da taglio e altre lesioni riconducibili a colpi di spranga. Il 16 giugno del 2014 viene arrestato per l'omicidio Massimo Bossetti: il suo Dna nucleare risulta sovrapponibile con quello di "Ignoto 1" rilevato sugli indumenti della vittima durante le indagini. Il 1°luglio del 2016 il muratore di Malpello, 44 anni, viene condannato all'ergastolo. La pena viene confermata dalla Corte di Cassazione il 12 luglio del 2018.

Bossetti si è sempre professato innocente sostenendo di essere estraneo alla vicenda. I suoi legali, gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, da anni si battono per avere accesso agli "scartini", ovvero, "reperti secondari" che a dir loro potrebbero provare l'eventuale innocenza dell'assistito. Per tre volte la richiesta di esaminare i referti è stata respinta dalla Corte d'Assise di Bergamo. "Abbiamo presentato ricorso in Cassazione per la quarta volta. Riteniamo giusto che anche la difesa abbia accesso a quelle tracce per poterle esaminare", spiega alla nostra redazione l'avvocato Claudio Salvagni. Poi il legale commenta il film "Yara" in uscita su Netflix dal 5 novembre 2021: "Non corrisponde alla storia vera, è una visione parziale".

Avvocato Salvagni, ha visto il film "Yara" del regista Marco Tullio Giordana? Se sì, cosa ne pensa?

"No, non l'ho visto perché ritengo non sia fedele alla narrazione reale della storia, nonostante il regista sostenga di aver consultato gli atti. Noi della difesa non siamo stati neppure interpellati, quanto meno sarebbe stato utile per avere una visione a 360 gradi di tutto l'iter processuale. Ritengo che sia una ricostruzione assolutamente parziale della vicenda in cui i protagonisti non sono né la povera Yara né Massimo Bossetti. Questo film è un amplificatore dell'opinione della parola del pubblico ministero, pensato per suscitare una reazione nel pubblico".

Veniamo alla vicenda processuale. Può dirci cosa sono gli "scartini" di cui si è parlato in questi anni?

"Sono gli slip, i leggings e tutti gli altri reperti che hanno trovato sulla vittima. Da quegli indumenti gli esperti hanno prelevato dei francobolli di tessuto da cui è stato estratto il dna di 'Ignoto 1' attribuito successivamente a Massimo Bossetti. Durante tutto il processo abbiamo chiesto di vedere questi reperti ma non ci è mai stato concesso".

Dove sono conservati quei reperti?

"Quegli estratti sono stati conservati nel laboratorio San Raffaele di Milano, in custodia del professor Casari che, in sede dibattimentale di primo grado, ha dichiarato fossero a disposizione per ulteriori indagini. Invece, nelle sentenze successive, è emerso che erano completamente esauriti. Dopo che la sentenza è passata ingiudicabile abbiamo chiesto e ottenuto di poter vedere quegli estratti. Subito dopo la Procura della Repubblica ha disposto la confisca dei campioni custoditi al San Raffaele di Milano. Quindi non è vero che 'erano finiti' ma c'erano. Il Procuratore della Repubblica li ha definiti 'scartini' dimenticando che proprio qui reperti sono stati ritenuti buoni e validi per desumere il Dna di Ignoto 1".

Massimo Bossetti

Quindi non sono prove secondarie?

"Assolutamente no. La parola 'scartini' è stata utilizzata per sminuirne la portata. Ma se sono serviti per condannare Massimo Bossetti all'ergastolo vuol dire che non erano poi così irrilevanti".

Perché vi è stata negata la possibilità di accedere ai reperti?

"Abbiamo presentato la richiesta per poter esaminare i reperti il 26 novembre del 2019, quasi due anni fa. Siamo stati autorizzati il giorno dopo, il 27 novembre 2019. Poi, quando abbiamo chiesto di conoscere le modalità operative per effettuare gli esami a cui eravamo stati autorizzati, ci è stato detto che la nostra domanda era 'inammissibile'. In buona sostanza, eravamo stati autorizzati ma non potevamo sapere quando poter fare questi esami. Abbiamo fatto ricorso per Cassazione e i giudici della Suprema Corte ha accolto l'istanza. Quindi, il 19 maggio 2021, siamo tornati davanti al giudice della Corte d'Assise di Bergamo. La Corte ha dichiarato, ancora una volta, la nostra richiesta 'inammissibile' con argomentazioni – a parer mio - molto discutibili".

Perché ritenete siano importanti?

"Tutto il processo ruota attorno all'identificazione del Dna. Se quella identificazione è sbagliata, in carcere c'è un innocente. Quindi dobbiamo partire con un esame in contradditorio tra le parti e che possa accertare l'esatto svilupparsi del Dna di Ignoto 1. Noi chiediamo di fare quegli esami perché riteniamo che ci sia stato un errore. Basta cambiare un allele del Dna che cambia l'identità della persona a cui è stato attribuito".

Quindi il postulato "Bassetti=Ignoto Uno" è sbagliato? Se sì, perché?

"Sì ed è sbagliato per due motivi. In primis perché, dal punto di vista processuale, alla difesa devono essere consentiti gli esami per poter difendere il proprio assistito. In secundis perché quell'esame potrebbe esser viziato da un errore".

Potrebbe esserci stato un errore?

"Soltanto leggendo i dati emersi, da un esame cartolare abbiamo evidenziato almeno 231 anomalie nell'esame del Dna. Se questo non è sufficiente per dover ripetere un esame, non saprei allora cos'altro bisogna fare".

Quali sono tra queste "231 anomalie" quelle più rilevanti?

"Per esempio bisogna essere certi che la macchina fosse perfettamente tarata per rilevare l'intera sequenza di alleli sul codice genetico. Se ciò non fosse, la macchina potrebbe aver restituito un Dna che non corrisponde a quello di Bossetti. Ma poi ce ne sono tanti altri, molto specifici, che potrebbero aver falsato il risultato. Ripeto, stiamo parlando di 231 anomalie".

Conferma che nel corso delle indagini sono stati rilevati altri Dna?

"Oltre al Dna di Ignoto 1, sul polsino della maniche del giubbotto della vittima è stato rintracciato un profilo decodificato di quello che era dell'insegnante di ginnastica della povera Yara. In quel caso la Procura ne ha giustificato la presenza ritenendo che fosse normale. Poi sono state trovate delle altre tracce genetiche in alcune formazioni pilifere riconducibili a uno o più Dna che potrebbero essere oggetto di indagini".

Sono state mai profilate queste "altre" tracce genetiche?

"No, non si è mai provveduto con degli accertamenti. Insomma, sappiamo che ci sono degli altri Dna ma non sappiamo a chi appartengono".

La "famosa" traccia 31G20 era priva del Dna mitocondriale però c'erano 24 marcatori corrispondenti al profilo di Bossetti. Come lo spiega?

"La traccia 31G0 per gli inquirenti era la migliore per qualità. Peccato però che mancasse del Dna mitocondriale, un elemento fondamentale per completare il profilo genetico di una persona. Nelle tracce attribuite a Massimo Bossetti non c'è mai il Dna mitocondriale. Dunque la prima cosa che viene da pensare è che ci sia stato un errore".

Può spiegarci meglio?

"Se la cellula è fatta da questi due componenti, il Dna nucleare e quello mitocondriale, e se il Dna mitocondriale non può mai essere scisso dal nucleo, perché nel caso di Bossetti manca? Se non c'è una spiegazione scientifica allora vuol dire che quel Dna non è corretto".

Quale sarà la prossima mossa, contate di

presentare nuovo ricorso?

"Abbiamo già presentato ricorso in Cassazione per la quarta volta. Speriamo sia quella giusta e che finalmente ci sia concessa la possibilità di accedere a quei reperti per poterli esaminare".

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