Vi ricordate Enzo Tortora? Probabilmente sì, perché era un personaggio famoso. Enzo era un liberale, un uomo colto, raffinato, un giornalista e un brillante uomo di televisione. Quanto di più lontano, per storia personale, per cultura, per frequentazioni, dalla camorra e dal crimine organizzato. Ebbene, da un giorno all'altro si trovò in manette davanti alle telecamere, rinchiuso in un carcere in condizioni degradanti, additato da tutt'Italia come un delinquente. Fu addirittura condannato in primo grado, solo la Corte d'Appello lo liberò da questa infame accusa. La vicenda si trascinò per anni. Enzo si batté come un leone, ma ne soffrì in modo atroce. Morì ancora giovane poco dopo il proscioglimento definitivo.
Proprio Francesca Scopelliti, la compagna di vita di Tortora, sarà una protagonista della manifestazione che terremo oggi a Napoli sulla giustizia negata. Perché proprio oggi? Perché ricorre l'anniversario di un episodio molto grave e molto triste. Il 21 novembre 1994, la procura di Milano pensò bene di emettere un avviso di garanzia a carico del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, impegnato a presiedere proprio a Napoli un vertice mondiale contro la criminalità organizzata. Non lo fece consegnare alla persona interessata, come vorrebbero la legge e il rispetto istituzionale. Lo consegnò al Corriere della Sera, che ne fece un titolo a tutta pagina. Dalla lettura del Corriere milioni di italiani, i delegati stranieri alla Conferenza, primi ministri o membri dei governi stranieri, e lo stesso Berlusconi seppero che il premier italiano era messo sotto accusa per reati inesistenti dai quali anni dopo sarebbe stato regolarmente assolto. Questa pagina è diventata il simbolo dell'uso politico della giustizia da parte di alcuni magistrati in determinate procure come quella di Milano. Ecco perché abbiamo voluto dedicare la giornata di oggi alla questione Giustizia.
Giustizia non solo negata a Berlusconi e Tortora ma a tanti italiani meno conosciuti e, per questo, meno in grado di difendersi.
A Napoli e in tante città italiane racconteremo le loro storie: le storie come quelle di Roberto Racinaro, Michele Padovano, Angelo Massaro, Caterina Abbattista. Un rettore di università, un calciatore, un operaio, un'infermiera. Persone comuni, di ogni estrazione, arrestate con grande clamore, talvolta condannate, tenute in carcere a lungo, qualcuno per decenni, e poi risultate completamente innocenti. Di loro si è parlato solo il giorno dell'arresto. Poi, sull'innocenza, tutt'al più un trafiletto che nessuno nota. Vite rovinate, vite trascorse per anni, per decenni in attesa di vedere riconosciuto il proprio buon diritto.
Ecco perché una giustizia giusta è così importante. Per rispetto delle persone, perché ognuno di noi può essere vittima, senza ragione, per un errore o una coincidenza, di un dramma come questo. Ma anche per rispetto alla società, alla giusta domanda di sicurezza dei cittadini. La giustizia è un deterrente contro il crimine, ma solo se funziona bene. Ogni innocente arrestato e condannato significa un colpevole che la fa franca. Un uomo pericoloso per gli altri, un criminale che non viene punito e che resta libero, pronto ad offendere ancora.
Come si garantisce un giusto processo? Lo dice la Costituzione, all'art. 111: "Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale". Lo dice, con parole diverse ma simili, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu).
È questa la situazione italiana? C'è una parità effettiva di condizioni fra chi accusa e chi si difende?
Vedete, io non so se i magistrati che perseguirono Tortora fossero in buona o in cattiva fede. Ma anche riconoscendo loro il massimo della buona fede possibile, certamente hanno commesso un errore clamoroso. Perché nessuno li ha fermati? Perché sì è dato come scontato, da parte di chi giudicava, che i colleghi essendo colleghi avessero ragione.
Provate a immaginare una partita di calcio, nella quale l'arbitro arriva allo stadio sul pullman con i giocatori di una delle due squadre, nell'intervallo si riposa nello spogliatoio di quella squadra, a fine partita fa la doccia con gli stessi giocatori, dopo la partita va a cena con loro. Vi fidereste di un arbitro così? Eppure è quello che accade in partite ben più importanti, i processi, spesso partite decisive per la vita stessa delle persone.
Per questo abbiamo voluto una riforma costituzionale per la giustizia giusta.
L'Italia ne ha profondamente bisogno. L'anomalia italiana andava sanata. Praticamente in nessun Paese al mondo, almeno fra le democrazie, pubblica accusa e giudice sono colleghi. In molti Paesi, addirittura, l'accusa dipende dal governo, e noi questo non lo vogliamo e non lo faremo mai. Mi opporrei personalmente nel modo più deciso. Ma in tanti Paesi perfettamente democratici si fa proprio così. E praticamente in nessun Paese al mondo, del resto, la magistratura è divisa in correnti, esplicitamente ideologiche e addirittura dichiaratamente vicine a certi partiti politici.
È gravissimo, e succede solo in Italia, fra gli Stati di diritto, il fatto che la prima cosa che una persona chiede al proprio avvocato sia di informarsi sul giudice: a che corrente appartiene, come la pensa, se è amico del pm.
Con la riforma abbiamo dato un colpo decisivo a questo sistema, un sistema denunciato dagli stessi magistrati, un sistema che penalizza proprio la parte sana della magistratura, che del resto è la grande maggioranza. Parlo di magistrati integerrimi, con grande spirito di sacrificio, mezzi limitati, enorme professionalità, gravi rischi personali. Magistrati come Giovanni Falcone, il nostro modello, che sulla separazione delle carriere la pensava esattamente come noi. Ed è gravissimo che vi sia chi ha cercato di stravolgere il suo pensiero.
Noi siamo dalla parte di questo tipo di magistrati, che devono essere tutelati e valorizzati.
Per questo è stato così importante introdurre la separazione delle carriere, perché il giudice non potrà più essere collega del pubblico ministero, non potranno più scambiarsi i ruoli, non potranno più mettersi d'accordo per eleggere lo stesso Csm che poi deciderà delle loro carriere. E per questo abbiamo introdotto il sorteggio per il Consiglio Superiore della Magistratura - l'organo che verrà duplicato, uno per i giudici, un altro per i Pubblici ministeri - cosicché non siano più le correnti a decidere chi ne farà parte. Ogni magistrato, e non solo chi è voluto dai vertici correntizi, potrà essere chiamato a decidere su concorsi, carriere, assegnazione di ruoli. È una riforma che dev'essere di tutti gli italiani, non di un partito o di una maggioranza. Per questo abbiamo chiesto noi per primi, raccogliendo le firme, che la decisione del Parlamento sia sottoposta a referendum. Perché è una scelta sulla quale spetta agli italiani decidere. E sono certo che sceglieranno il diritto, la giustizia, la libertà.
Non posso non fare, però, ancora riferimento a Berlusconi, che è stato vittima di una persecuzione giudiziaria senza uguali, per motivi soltanto ideologico-politici. Questa legge, però, è tutt'altro che una rivalsa contro la magistratura, per quello che fecero pochi magistrati ideologizzati. Però la giustizia giusta, e in particolare la separazione delle carriere, al di là del suo caso personale, sono state per decenni il sogno, l'obbiettivo, la battaglia politica di Silvio Berlusconi. La considerava una battaglia di libertà e quindi di civiltà. Probabilmente fu perseguitato da certi magistrati proprio per questo. Questa riforma nasce dal suo insegnamento e dalla sua determinazione, dal suo coraggio e dalla sua lucidità intellettuale. Non ci sarebbe senza di lui. Ed è giusto che a lui sia dedicata questa grande vittoria dell'Italia e degli Italiani.
Ecco perché mi piacerebbe che il 21 novembre diventasse la giornata della giustizia giusta in ricordo di quella di Napoli del 1994 che è ancora impressa nella mia memoria.
*vicepremier e leader di Fi