Coronavirus

Il grido di chi lavora in disco: ​"Basta col terrore dei medici"

La decisione del governo sulla movida è l'ennesima misura di un esecutivo che non sa come risolvere il problema dei contagi

Il grido di chi lavora in disco: ​"Basta col terrore dei medici"

Questa estate, per motivazioni personali avulse dal Covid, ho deciso di estraniarmi dall’organizzazione di eventi danzanti - attività parallela che svolgo con passione da ormai 15 anni, ambito nel quale ho stretto numerosi rapporti nel corso degli anni. Per questo sono solidale con tutti coloro che si troveranno puniti dall’ennesima decisione di un governo inadeguato, che dopo mesi e mesi ancora dimostra di non avere la minima contezza del funzionamento di un virus come il Sars-CoV2, né della diffusione della pandemia scatenatasi.

Come giornalista mi occupo di questa minaccia da prima ancora che le prime pagine gli dedicassero titoli apocalittici - quando molti si prendevano gioco dei primi allarmismi - e posso solo dire che è da ingenui, se non da stupidi, credere che siano le “discoteche” il problema. Il problema, duole dirlo, è un problema senza soluzione. Soprattutto in un paese dove le regole si seguono un tanto al chilo e con negligenze lapalissiane - una tra queste l’imperterrito sbarco dei migranti dei quali si può perdere traccia, ma forse è quasi l’ultima: il Covid non ha patria.

Un breve esempio: traghetto per la Sardegna, nessun controllo all’imbarco, nessun controllo o distanziamento a bordo. All’attracco la ressa per scendere, tutti appesi allo stesso corrimano. Tutti assembrati davanti l’unico boccaporto. La misurazione della temperatura solo allo sbarco (così 14 giorni di quarantena li spendi qua). Forse si è immuni al Covid in questo caso? E di esempi ne potrei fare a dozzine, dai bagni di tanti bar e ristoranti, ai supermercati dove si toccano gli oggetti negli scaffali e si riposano per indecisione, al mare dove tutti sguazziamo in quella che a Roma chiamiamo la “pipinara”: l’acqua bassa dove non ci si può distanziare.

Però questo Paese è noto per accontentarsi delle contromisure “eccezionali”, che in fin dei conti toccano solo una fascia ridotta della popolazione: in questo caso i bistrattati giovani e i tanto vituperati localari. Oggi loro, domani chi può dirlo? Chissà se noi adulti senza figli vi dicessimo che in fin dei conti se non riaprissero le scuole a settembre non ce ne fregherebbe poi tanto. Vi indignereste genitori 1 e 2? Voi che dovete pagare una baby-sitter e vorreste tornare alle vostre vite. Ecco, mettetevi dei panni di chi vorrebbe vivere i propri vent’anni in santa pace, o di chi ha famiglia e con i locali ci campa come una fonte di sussistenza. E i medici e il personale ospedaliero non si lamentassero troppo. Come i militari, loro hanno scelto una missione. E le guerre si combattono anche nel deserto, quando fa caldo.

Ma questo i giornali oggi sembrano voler giocare come sempre alla guerra, aizzando i “vecchi” che prima erano descritti come vittime collaterali, plausibili o sacrificabili sull’altare dell’economia, contro i giovani della “movida” che si prendono la loro prima responsabilità nella vita: provare divertirsi buttandosi qualcosa di brutto alle spalle. Nel mezzo i giovani che hanno intrapreso quella corriera difficile che è la medicina, traditi da tutti forse, in primis da quel governo che li ha umiliato con un indennizzo di 100 euro dopo tre mesi d’inferno. Fuori l’allarmismo, lo stesso di marzo.

Con gli stessi colpevoli e le stesse colpe da scaricare su qualche nuova Task Force.

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