Da via Padova (Milano) - Alla fermata dell'autobus due donne musulmane (probabilmente madre e figlia), entrambe con il volto velato, mi osservano. Poi la donna più grande prende per il braccio la ragazzina e la trascina via. Si allontanano. Come se io avessi la lebbra. Invece ho solo una kippah sulla testa. Appena due grammi di stoffa rasata. Che però possono pesare come un macigno.
La kippah è il copricapo usato dagli ebrei maschi osservanti. La indosso, anche se l'ebraismo non è la mia fede. Inizio il mio «esperimento» di finto jewish in via Padova, periferia milanese ad alta densità musulmana. Sono da poco passate le ore 13, a decine sciamano dalla Centro di preghiera islamico. Chiedo a un ragazzo di fede islamica: «Scusa, sai l'ora?». Un attimo di indecisione. Poi lo sguardo cade sulla mia kippah bianca e la risposta è sferzante: «Che cazzo vuoi?». A poca distanza c'è un collega, Giovanni Masini, che con una telecamera nascosta riprende tutto: per un'intera mattinata, ha immortalato gli sguardi ostili che mi sono piovuti in testa come una pioggia acida. Per strada, nell'autobus, nei bar. Nulla di traumatico, per carità. Nessuna minaccia. Nessuna violenza. Anche se nei due giorni precedenti - in assenza però di telecamera nascosta - il «test» era andato anche peggio. Con il borsino dell'intolleranza che ha registrato contro il sottoscritto uno sputo (fortunatamente lanciato per terra); un insulto; un «Allah akbar» urlato in faccia; un propagandistico «Palestina libera!»; un ironico «Ciao, giudeo». Ma anche nei momenti più critici (come quello dello sputo o dell'insulto) non mi sono mai sentito in pericolo.
Davanti al Sultan Kebab, all'altezza del civico 95, un tizio mi invita a «cambiare marciapiede»: un episodio dinanzi al quale l'afflato al dialogo interreligioso sembra un po' vacillare... Da dietro le spalle arriva una ragazza (italiana) con un cane. Mi affianca, si gira, e dice: «Palestina libera!». La maggioranza si limita a guardarmi tra disappunto e disinteresse; nel caso dell'ambulante marocchino che mi sussurra all'orecchio «Allah akbar» il disappunto, probabilmente, prevale sul disinteresse. Idem per il «gentleman» che prima butta l'occhio sulla kippah e poi butta uno sputo (sul marciapiede per mia fortuna). Fin qui il fixing dell'insofferenza, l'indice dow jones dell'antisionismo. Che a Milano non è certo ai limiti di guardia, ma che in vista dell'Expo non va comunque sottovalutato. Come dimostra anche la relazione dei nostri servizi segreti, rispetto al pericolo di attentati terroristici di matrice islamica.
Ma per fortuna nella biblioteca comunale di via Crescenzago, si incontrano anche musulmani come Muhammed, 21 anni, studente di Filosofia all'Università Statale.
Da navigato navigatore del web non gli è sfuggita la videoinchiesta fatta di recente da un cronista ebreo francese che è andato in giro, con la kippah, per un quartiere a maggioranza musulmana di Parigi, registrando le frasi di scherno di cui è stato fatto oggetto.
«Un'operazione mediatica molto discutibile - sostiene Muhammed -. Quel giornalista lavora per il quotidiano Maaariv , tradizionalmente vicino al premier israeliano Netanyhau. La sua inchiesta non è stata obiettiva, anzi mirava a sostenere le tesi di Netanyhau che, all'indomani dell'attentato contro Charlie Hebdo , ha invitato gli ebrei europei a trasferirsi in Israele. Avvalorare un presunto clima d'odio contro gli ebrei che vivono a Parigi era funzionale a questo schema. E il giornalista Zvika Klein che ha firmato il servizio, si è prestato al gioco».
Un gioco sporco, considerato che il cronista ha ricevuto in un minuto e 36 secondi sette diversi tipi di insulti: da «cane» a «fatti fottere», da «frocio» agli sputi.
Intanto nella nostra discussione, in via Padova, interviene anche un amico di Muhammed, anche lui studente universitario: «Attenti al terrorismo informativo. In paesi ad alta presenza musulmana come Francia e Germania, Hollande e Merkel affermano che in Europa la sicurezza per le comunità ebraiche è garantita».
E in Italia? «Nelle nostre città non corriamo nessun pericolo - sostiene Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma -. Tutti i giorni giro per strada con la kippah, il clima è tranquillo. Noi stiamo bene in Italia, ci sentiamo protetti. Andremo in Israele in libertà e non costretti». Isis permettendo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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