Italia-Francia, il rating che divide

L'era di una Francia che sui mercati finanziari veniva considerata alla stregua della Germania, anche per la sua stabilità politica, è finita

Italia-Francia, il rating che divide
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Uno dopo l'altro si susseguono i sorpassi economici dell'Italia ai danni della Francia. L'ultimo dato lo ha calcolato l'Ufficio studi degli artigiani Cgia: con un prelievo fiscale del 45,2% del Pil, nel 2024 i francesi hanno versato 57 miliardi in più degli italiani, con una pressione fiscale maggiore del 2,6%. Un elemento che si somma ai confronti che, negli ultimi tempi, vedono Roma fare meglio di Parigi.

Il mercato se n'è accorto: lo spread di rendimento decennale tra titoli italiani e francesi rispetto a quelli tedeschi si è ormai azzerato. Tre anni fa, quando nasceva il governo Meloni, gli Oat rendevano 170 punti in meno dei Btp (l'1,7%), considerati molto meno rischiosi. Oggi non c'è più differenza. Quello che invece è cambiato meno è il giudizio delle agenzie di rating. Nonostante negli ultimi 12-18 mesi Parigi sia stata declassata e Roma promossa, per le tre principali agenzie Usa l'investimento in titoli italiani resta molto più rischioso. Per Fitch la Francia mantiene un rating (A+) tre gradini più alto dell'Italia (BBB+); per Standard & Poor's i gradini sono quattro (AA- contro BBB+); per Moody's i gradini sono addirittura sei (Aa3 contro Baa3).

Ma allora, chi sbaglia? Le agenzie o i mercati? A noi pare più verosimile la prima ipotesi, anche perché avevamo capito, dalla crisi del governo Berlusconi del 2011, che a emettere i verdetti sulla tenuta dei conti pubblici fossero gli investitori, ai quali le agenzie devono solo fornire un servizio. Anche Mario Monti, sul Corriere della Sera di ieri, riconosce i meriti di Meloni e Giorgetti e facendo un parallelo con la crisi del 2011 da cui nacque il suo governo - lancia l'allarme Francia. Salvo una piccola omissione: il governo Berlusconi cadde sotto i colpi di mercati e Bce quando il deficit primario rispetto al Pil era addirittura positivo (1,1%), mentre quello francese atteso è -3,7%; e quando il debito/Pil era al 119%, lo stesso livello atteso a Parigi nel 2026. Quindi, a livello tendenziale, la Francia di oggi sta peggio dell'Italia del 2011. Certo, resta un Paese più grande (ha più abitanti e territorio), con un Pil superiore e un debito/Pil inferiore. Ma quello che conta sono le traiettorie. E qui casca l'asino.

Prendiamo il debito: quello di Roma è il 134,9% del Pil, a Parigi il 115,6%. Questo gap del 19,3% è un forte argomento. Ma valgano tre considerazioni. La prima è che anche per una scelta strategica del governo Meloni la quota di debito italiano autofinanziato (cioè detenuto da capitali nazionali) rispetto a quella dei non residenti è intorno al 90%, contro il 37% dei francesi. Questo significa che, di fronte alla crescita del debito, l'Eliseo dovrà accontentare gli investitori più speculativi ed esigenti. La seconda considerazione è che questa dinamica sarà presto messa alla prova: secondo il Fmi, di qui al 2030 il rapporto debito/Pil di Parigi aumenterà del 30,3%, contro il 3,9% dell'Italia. Una differenza dovuta sia alla disciplina nei conti, sia alle riforme e ai sacrifici che i francesi non vogliono fare.

Per quanto riguarda il Pil, la percezione è che Roma cresca meno di Parigi. Negli ultimi 4 trimestri l'aumento tendenziale del Pil è stato dello 0,43% in Italia e 0,76% in Francia. Ma, come ha notato Marco Fortis sul Sole 24 Ore, la Francia deve questo risultato al suo Pil "invenduto", cioè alla forte variazione delle scorte: +1,6% nel secondo trimestre 2025, contro il +0,26% italiano. In altri termini, la crescita del Pil francese è drogata da quella parte di produzione che non è assorbita dalla domanda e finisce in magazzino. Depurata di questa componente, la crescita del Pil italiano "venduto" è dello 0,19%, e quella francese diventa negativa dello 0,83%.

Si potrebbe andare avanti.

Ma la sostanza non cambia: l'era di una Francia che sui mercati finanziari veniva considerata alla stregua della Germania, anche per la sua stabilità politica, è finita. Le toccheranno i compiti a casa che l'Italia continua a fare con l'esecutivo in carica. E, ne siamo certi, prima o poi se ne accorgerà anche Moody's.

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