Cultura e Spettacoli

Kafka dallo scarafaggio agli scarabocchi

Molti scrittori, per sfogo, per concentrarsi o per vezzo, amano scarabocchiare le pagine su cui lavorano

Kafka dallo scarafaggio agli scarabocchi

Molti scrittori, per sfogo, per concentrarsi o per vezzo, amano scarabocchiare le pagine su cui lavorano. Come Nabokov, Beckett, Ginsberg, Silvia Plath, persino Borges. Soltanto che quelli di Franz Kafka (1883-1924) sembrano qualcosa in più di semplici scarabocchi. La cui vicenda sembra un racconto. Lo scrittore praghese aveva l'abitudine di riempire di disegnini i margini dei fogli di appunti, o del diario soprattutto, a volte anche delle lettere. Pagine «di brutta» che poi gettava nella carta straccia. Del resto, fosse stato per lui, avrebbe distrutto la sua intera opera letteraria. Per fortuna accanto aveva un amico come Max Brod. Il quale, oltre agli scritti, raccolse anche i vari disegni e gli scarabocchi che Kafka tracciava durante le lezioni universitarie, o quando lavorava a un romanzo o ai racconti, oppure dava una figura a un sogno o un'idea... L'idea di Brod era di pubblicare un libro con tutte le illustrazioni che era riuscito a salvare. Riteneva infatti l'amico non solo un grande scrittore, ma anche un artista. Il progetto non si realizzò. I disegni alla morte di Brod, nel 1968, passarono in eredità alla sua segretaria, Esther Hoffe, con l'indicazione di consegnare il materiale alla Biblioteca nazionale di Israele. Volontà disattesa dalla Hoffe, che lasciò tutto per anni nel suo appartamento, sporco e pieno di gatti, di Tel Aviv. Morta la Hoffe finì tutto alle figlie. Le quali, alla fine, hanno permesso che l'eredità di Kafka tornasse nella disponibilità degli studiosi: per il 2024, centenario della morte dello scrittore, Israele preparerà una grande mostra con autografi, inediti, foto e gli schizzi sopravvissuti.

Ed eccoli qui. Visti finora solo occasionalmente, quando un omino in nero di china finiva sulla copertina di qualche edizione dei romanzi o dei racconti di Kafka, e pubblicati parzialmente in Olanda nel 2003 e poi a Praga nel 2011, i disegni, messi online dalla Biblioteca nazionale di Israele, escono per la prima volta in Italia a cura di Ginevra Quadrio Curzio: Scarabocchi. I disegni di Franz Kafka (La Vita Felice, pagg. 172, euro 14).

Curioso. Kafka è uno scrittore scandagliato come pochi altri dalla critica. Eppure, forse per il loro carattere estemporaneo, forse perché lo stesso autore non diede loro mai attenzione, i suoi disegni sono stati quasi ignorati. «Geroglifici illeggibili», a detta dell'autore, che però svelano molto di lui. E non sul piano artistico (si può discutere persino se gli scarabocchi abbiano lo statuto di «illustrazioni», del resto K. non affinò mai lo stile o il tratto). Ma su quello letterario. E lo spiega bene Ginevra Quadrio Curzio, la quale ha affiancato i vari disegni ai testi di Kafka: dove è stato possibile riportando la pagina esatta in cui originariamente cadeva lo schizzo, negli altri casi, cioè tutte le volte che non hanno una naturale collocazione dentro un testo, scegliendo brani che riecheggiano le «figurine» kafkiane. «La grazia sottile e astratta, quasi onirica, dei gesti e degli omini scarabocchiati da Kafka a ben guardare può fornire una chiave di lettura delle immagini misteriose che popolano le pagine dello scrittore». È l'aspetto visivo della letteratura kafkiana. «È a partire proprio dal legame profondo, quasi una tensione, tra parola e immagine - spiega la curatrice - che il rapporto tra gli scarabocchi disegnati e gli scarabocchi scritti, e non per nulla Kafka usava lo stesso termine Gekritzel per definire entrambi, contribuiscono a illuminare da un punto di vista nuovo la sua opera».

E di cosa parlano i disegni del grande praghese? Di sogni, apparizioni, fantasmi dell'immaginazione. E poi raccontano di uomini anonimi, ma con i loro corpi, i portamenti, i movimenti impercettibili, i gesti, persino gli abiti e il cibo (una vera ossessione di Kafka). E le loro sofferenze, i loro piaceri e persino qualche fantasia crudele... Si tratta raramente di paesaggi - giusto qualche appunto di viaggio: un ponte, una chiesetta col campanile, la casa di Goethe... - quasi sempre di figure umane. Che - se colte da qualcuno dotato di un occhio cinematografico, capace di inquadrare come si impugna un bastone, una postura, un certo modo di camminare - possono raccontare qualcosa di più. «Come per le pellicole cinematografiche - è l'idea della curatrice - si può affermare che gli scarabocchi di Kafka registrano sul foglio le avventure della luce.

E infatti tra i critici più di uno si è accorto dell'affinità tra le sue strategie narrative e quelle del cinema, a quel tempo un medium ancora nuovo, che permetteva per la prima volta di esaminare come al microscopio la realtà del movimento umano, fino a quel momento rimasto quasi inosservato».

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