Ve l'ho promesso. Dopo la mia testa mozza vi mostro il ritratto del mio antagonista, Giggino Di Maio, esposto al Mudec di Milano. È bellino, ordinato, composto. In guardaroba ha un tubino blu, per assimilarsi a un pretino protestante. I capelli sono corti, lo sguardo mesto. Un solo inconveniente: porta male. Lo prefigurò una grande artista, forse la più grande tra le donne. Di certo la più celebre. Allora Giggino si chiamava Alejandro Arias. Frida Kahlo lo incontra nel 1922, quando sono entrambi studenti alla National Prep School di Città del Messico. I due si innamorano, e sono, fino al 1925, inseparabili. In quell'anno hanno uno spaventoso incidente su un autobus: Alejandro ne esce indenne; Frida è ferita in modo grave. Nel lungo periodo in ospedale, Frida invia drammatiche lettere ad Alejandro, interrogandosi sul proprio futuro, cercando di immaginare quale sarà la propria vita dopo l'incidente. Alejandro, come Giggino, ha una camicia bianca, su cui spicca una cravatta scura, e una giacca grigioverde. La somiglianza è sorprendente. Determinazione, buona volontà, aspetto vagamente iettatorio.
Frida è come l'Italia. Nell'incidente con Giggino, lui uscirà indenne, mentre l'Italia uscirà malridotta, ferita in modo irreparabile. Teniamoli lontani, facciamo scendere Giggino dall'autobus prima che sia troppo tardi.
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