Scena del crimine

"Uccideranno (ancora) a caso" La lucida follia dei serial killer

Dal Mostro di Firenze a Michele Profeta, fino alla saponificatrice di Correggio, chi sono i serial killer? Ecco come agiscono gli assassini seriali e cosa si nasconde nel loro cervello

"Uccideranno (ancora) a caso" La lucida follia dei serial killer

"Ucciderò a caso", prometteva Michele Profeta. "Una voce interna mi suggeriva: ammazzala e guarirà", affermava la Saponificatrice di Correggio. Parole dal suono folle, che nascondono la lucidità di chi pone intenzionalmente fine a delle vite umane. Ogni serial killer ha solitamente un proprio modus operandi, una propria strategia di azione, un'arma con cui uccide e un target di vittime particolare: il Mostro di Firenze uccideva coppiette usando una pistola Beretta calibro 22, Donato Bilancia prendeva di mira le prostitute e John Wayne Gacy seppellì 33 ragazzi adolescenti. Tutti però sono accomunati da un'unica caratteristica: aver provato piacere nell'uccidere. Ma chi sono realmente gli assassini seriali? Come si comportano? C'è modo di recuperarli?

L'identikit del serial killer

Lo studio del fenomeno iniziò negli anni '80, quando l'Fbi fornì le prime definizioni, considerando serial killer coloro che uccidevano per motivi sessuali e che avevano colpito 3 o più vittime. Poi le classificazioni più moderne hanno ampliato il fenomeno, considerando assassini seriali coloro che uccidono anche solo 2 persone, a prescindere dal movente. Sono molte le categorie in cui possono essere raccolti questi tipi di assassini, che identificano varie tipologie di serial killer. Impossibile però individuare delle caratteristiche specifiche che permettano di riconoscere un assassino seriale: "Non c'è una formula unica - ha spiegato a IlGiornale.it il criminologo e psicologo Ruben De Luca, autore di diversi libri, che si occupa dell’argomento da più di 20 anni e che, nel corso dell’anno, pubblicherà uno studio innovativo sull’omicidio seriale in Europa - Sicuramente la maggior parte ha il classico quadro di padre violento e famiglia disgregata, ma non c'è una correlazione causa effetto tra un avvenimento e l'altro. I serial killer sono caratterizzati dal fatto di avere la propensione all'omicidio che apparentemente esula dai moventi razionali".

Non è possibile ricercare un momento che segna nella mente del serial killer l'inizio della catena omicidiaria. Come spiega De Luca, "il comportamento omicida è appreso come qualsiasi altro comportamento umano. Un ruolo fondamentale è rivestito dalla fantasia: prima di uccidere una vittima reale, il potenziale serial killer la uccide nella sua mente. È raro che questi criminali inizino a uccidere all'improvviso, in genere c'è un'escalation, una specie di aumento di violenza. Per esempio, quando il movente è sessuale solitamente l'assassino ha una carriera precedente da stupratore seriale, poi magari viene arrestato perché una vittima lo identifica e una volta incarcerato pensa sia meglio uccidere per evitare di essere identificato". Ma anche dove non è coinvolto il sesso "il serial killer ha dei precedenti penali per altri tipi di reati". Il suo è quindi "un comportamento criminale che si evolve". E una volta compiuto il primo omicidio "scatta il clic della serialità, cioè il soggetto si rende conto che quell'atto gli ha provocato piacere, una sensazione di benessere, di potere e dominio sugli altri esseri umani ed è stimolato a riproporre l'atto e da lì parte la serialità".

Spesso la malattia mentale non c'entra: "Nella stragrande maggioranza dei casi i serial killer sono sani di mente", anche se spesso i soffrono di disturbi psicologici, come la psicopatia, caratterizzata dalla mancanza di empatia verso gli altri, che vengono percepiti come oggetti. Ma, precisa il criminologo, "si tratta di disturbi di personalità, non di malattie psichiatriche". È difficile pensare che un serial killer sia sano di mente, ma "la maggior parte è perfettamente consapevole delle proprie azioni, è capace di intendere e volere e da qui trae piacere". In un quadro del genere "un elemento fondamentale è il ricordo: il serial killer uccide una prima volta e ripensando all'omicidio prova una sensazione di piacere, che lo spinge a riproporre l'atto per ripercorrere quell'emozione".

Il modus operandi e il "kit omicida"

Uccidono per ragioni di ogni sorta e con le modalità più disparate. I serial killer si distinguono dagli omicidi non seriali per il modus operandi mediante cui danno seguito all'attività delittuosa. "Per modus operandi s'intende la modalità di esecuzione delitto, ovvero tutti quei comportamenti messi in atto per portare a compimento il piano criminale - spiega al Giornale.it il criminologo Carmelo Lavorino - Il modello generale, anche se non si tratta di uno schema fisso e quindi riconducibile a ogni tipo di assassino seriale, prevede l'ideazione del crimine e l'attuazione di una strategia ben precisa. Nel caso di Donato Bilancia, il serial killer più prolifico della storia italiana, lo schema era sostanzialmente il seguente: ideazione del crimine (in misura degli obiettivi strategici e tattici), scelta della vittima (secondo il movente o gli interessi personali); sopralluoghi sulla scena del crimine (per lo studio e l'attuazione dell'esecuzione, delle vie di fuga e limitazione de rischi e sopralluogo finale (qualche ora o minuto prima dell'approccio letale alla vittima)".

Tuttavia, come ben chiarisce l'esperto, non si tratta di comportamenti costanti ma "variabili che cambiano nel tempo in misura del livello di sicurezza che acquisisce l'assassino. Si badi però a sottolineare che in fondo anche il più organizzato dei serial killer non è poi così impeccabile. Se fosse vero il contrario, nessun criminale seriale sarebbe mai stato catturato. E invece tutti commettono degli errori, specie quando si sentono invincibili e ritengono di aver messo a punto un piano infallibile. Stiamo pur sempre parlando di soggetti psicopatici con scarso controllo dei propri istinti e incapaci di autocritica".

donato bilancia

Donato Bilancia ha ucciso le sue vittime con una pistola Smith & Wesson calibro 38. Michele Profeta era armato di un revolver Iver Johnson calibro 32 mentre il mostro di Firenze ha freddato 16 persone con una Beretta calibro 22 serie 70. Ogni assassino seriale del genere "organizzato" è dotato di un vero e proprio "kit criminale", ovvero un equipaggiamento (armi e altro occorrente) personale. "Il 'kit' è la strumentazione di cui è dotato un serial killer, diciamo che è l'aspetto logistico del modus operandi - spiega il criminologo Lavorino - Di solito l'equipaggiamento prevede un'arma per giustiziare e un mezzo per spostarsi verso e dalla scena del crimine. Michele Profeta ad esempio è tra i vari serial killer quello che disponeva di un kit più singolare. Si muoveva con una Škoda Felicia ed era sempre provvisto di buste da lettera, un normografo e un mazzo di carte (oltre alla pistola, ovviamente). In questo caso, la dotazione serviva non solo per uccidere ma anche per 'firmare' la scena del crimine".

La firma psicologica del delitto

Un'altra peculiarità degli omicidi seriali riguarda la necessità di contrassegnare con una sigla autorale le scena del crimine. I profiler (criminologi che si occupano di profilare l'identikit dell'assassino) parlano di "firma psicologica del delitto", mediante cui il killer rivendica la paternità dell'omicidio. Ma nello specifico di cosa si tratta? "La firma psicologica - spiega il dottor Lavorino - è un atto di matrice psicologica che l'assassino pone in essere per puro autocompiacimento. Se non lasciasse quel tratto o elemento distintivo sulla scena del delitto non si sentirebbe pienamente appagato, gratificato di ciò che ha fatto. Michele Profeta, ad esempio, era solito siglare il crimine con una carta da gioco (il re di quadri). E lo faceva sostanzialmente per due ragioni: la prima è che era un grande appassionato di gioco d'azzardo, la seconda riguarda invece la necessità di porsi come vincitore dal momento che era un perdente nella vita di tutti i giorni".

Ma la firma psicologica rivela anche la motivazione psichica che ha indotto l'assassino a commettere il delitto. "Il fatto di lasciare, ad esempio, la vittima in posa degradante potrebbe indicare un sentimento di profondo disprezzo nei confronti della persona uccisa. Ma il movente, di solito, non è del tipo 'diretto' - continua l'esperto – tranne che a volte, per il primo delitto, poi ci prendono gusto. Talvolta impiegano moltissimo tempo per comporre la scena del crimine ed è per questo motivo che poi commettono errori che pagano a caro prezzo". Allora perché lo fanno? "Perché sono dei soggetti megalomani, hanno personalità con tratti fortemente narcisistici. La mente di un serial killer è un magma - conclude Lavorino – un baratro dove c'è di tutto e anche di più".

Cervello criminale

Mente ma anche cervello criminale. Studi recenti nell'ambito delle neuroscienze hanno provato l'esistenza di una connessione tra alcune anomalie cerebrali e il comportamento omicida. Kent Kiehl, professore di psicologia, neuroscienza e legge dell'Università del New Mexico nonché tra i massimi esperti mondiali del campo, ha appurato che le condotte antisociali violente di molti assassini sono riconducibili a specifiche alterazioni morfologiche del cervello.

I risultati di uno studio condotto con la tecnica della Brain Imaging (un particolare tipo di risonanza magnetica del cervello) su un campione di 808 criminali maschi, di cui un gruppo con omicida già in regime di detenzione carceraria, hanno evidenziato una riduzione della cosiddetta 'materia grigia' in una serie di aree cerebrali importanti per l'elaborazione affettiva, la cognizione sociale e strategica, e il controllo del comportamento. "Ma non sappiamo se qualcosa di tutto ciò che abbiamo rilevato sia reversibile", dice il dottor Kent Khiel a IlGiornale.it che, per l'occasione, ha gentilmente concesso alla nostra redazione la possibilità di visionare il suo elaborato.

"In generale, ci sono molte variazioni sia nel cervello che nel comportamento criminale, quindi è difficile stabilire il motivo per cui le persone si sentano 'obbligate' a commettere atti criminali. Ma sappiamo, come nel caso delle diagnosi di psicopatia, che specifici cambiamenti nel cervello aumentano la probabilità di commettere un certo tipo azioni illegali", dice alla nostra redazione il professor Jens Foell, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia Clinica della Florida State University che utilizza la risonanza magnetica per l'indagine neuroscientifica sul cervello. La faccenda si complica nel caso dei serial killer, un terreno ancora inesplorato in quest'ambito.

"È difficile ottenere dati affidabili per i serial killer - prosegue il professor Foell - perché (per fortuna) non ce ne sono molti e la neuroscienza necessita di una casistica più ampia per ottenere risultati affidabili". Da numerose perizie psichiatriche è emerso che gli omicida seriali mancano di "empatia". Cosa s'intende con questo termine? "L'empatia è ciò che ci permette di comprendere lo stato d'animo di un'altra persona. Quindi una diminuzione dell'empatia potrebbe predisporci a commettere atti criminali. Ed è stato dimostrato, ad esempio, che per le persone affette da forme gravi di psicopatia, le aree cerebrali legate all'empatia, come la corteccia cingolata anteriore e la corteccia insulare (regioni del cervello ndr), sono sotto-attivate rispetto alle persone non psicopatiche. In altre parole: per le persone ad alto livello di psicopatia, determinate aree del cervello funzionano in modo diverso. Di conseguenza costoro sono meno propensi a tenere conto del benessere altrui nelle loro decisioni".

Qualcuno sostiene, come per il caso del killer clown John Wayne Gacy, che alcuni assassini seriali abbiano sviluppato una condotta criminale a seguito di un trauma cerebrale. È una ipotesi verosimile? "Sebbene ci siano stati casi di comportamento violento o criminale dopo un danno cerebrale, non possiamo dire che si tratti della norma. La psicopatia di solito insorge in giovane età. Tuttavia non è neanche scontato che soggetti psicopatici finiscano per diventare dei criminali. Ci sono molte persone affette da quella che viene definita "psicopatia ad alto funzionamento" che non commettono mai un atto criminale.

C'è una complessità di concause che intervengono nella condotta antisociale per cui è difficile fornire una spiegazione generale, che valga cioè per tutti i casi. La psicopatia di per sé non è reversibile, ma potrebbero esserci alcuni fattori in grado di cambiare la probabilità che un individuo commetta azioni violente. Avere un lavoro stabile e una vita familiare sana, ad esempio, aiutano una persona con un alto livello di psicopatia a non commettere crimini. Ma se guardiamo strettamente al cervello, non è chiaro se e come certe differenze possano essere ripristinate".

Leonarda Cianciulli

È possibile la riabilitazione?

"Assolutamente no", ha affermato con forza Ruben De Luca, che spiega come i serial killer abbiano "come motivazione predominante la volontà di potenza: attraverso l'omicidio, il killer si sente onnipotente e nel pieno controllo della propria vita, di conseguenza, una volta scarcerato, ricomincerà a uccidere anche dopo 20 o 30 anni". Il cambiamento non è pensabile, quando ci si trova di fronte a delle patologie, a delle perversioni o a delle ossessioni e quando l'atto stesso dell'uccisione viene percepito come piacere: "L'atto di uccidere gratifica il serial killer che, se è in prigione, farà di tutto per mostrare di avere un comportamento irreprensibile così da poter uscire; lui recita, è un manipolatore". In casi del genere, "la riabilitazione non c'è e bisogna rendersi conto che esistono persone che non sono recuperabili".

È difficile accettare il fatto che ci siano persone che provano piacere nel compiere un omicidio e che siano in grado di fingere in tutti i modi per poter riprendere ad aggiungere anelli alla propria catena si sangue ma, "finché non penseremo a questi soggetti come esseri umani e continueremo a chiamarli mostri, useremo un meccanismo di difesa per distaccarci che non ci permetterà mai di capire davvero il loro comportamento".

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