
Giù le mani da Sigfrido Ranucci, lunga vita a Sigfrido Ranucci che l'altra notte si è visto esplodere una rudimentale ma potenzialmente micidiale bomba sul cancello di casa. Mi auguro che chi di dovere ci faccia sapere al più presto da chi e perché è stata messa, ma chiunque siano gli attentatori, qualsiasi sia il movente, la gravità del fatto non cambia: intimidire o, peggio, provare a fare saltare in aria un giornalista è cosa da delinquenti mafiosi, per di più vigliacchi e fuori di testa. Sono certo che il collega non cambierà di un centimetro il suo modo di concepire libertà e professione, fa pure bene (al suo posto lo faremmo anche noi) e paradossalmente, almeno in questo, i suoi nemici bombaroli lo hanno rafforzato, anziché indebolirlo come probabilmente era nelle loro intenzioni. Paura e solidarietà personale a parte, non ci nascondiamo dietro un dito, a maggior ragione che il pericolo ce ne compiacciamo - è stato scampato: quel suo modo di usare il servizio pubblico che gli è stato affidato il programma Report su Rai Tre a noi non è mai piaciuto e mai piacerà, così tracimante di faziosità, così impegnato a costruire teoremi allusivi per di più soltanto nei confronti di una parte politica, ovviamente quella di centrodestra. Lo chiamano giornalismo d'inchiesta, concetto certamente nobile, ma spesso abusato sia nell'enfasi sia nella sostanza, e utilizzato per coprire operazioni politiche - a volte veri e propri linciaggi - che nascono e si alimentano nella zona grigia della democrazia a tutti i livelli e in tutti i campi. Ma non condividere non può mai, per nessun motivo, diventare motivo per abbattere. Resta il diritto di Ranucci di fare come crede, resta quello di contrastare quel modello di giornalismo. Ma in un solo modo, che ovviamente non sono le bombe, bensì le non poche armi a norma di legge che la professione ci mette a disposizione.
La verità non è esclusiva di qualcuno, qualsiasi storia può essere raccontata o quantomeno assemblata in modi diversi da quelli scelti da Report. È quello che abbiamo fatto in passato, è quello che continueremo a fare in futuro.