Cronache

Com'è lavorare per i giapponesi a Londra?

Matteo Calderoni: "In due anni ho ottenuto più riconoscimenti che nei 5 passati in Italia. Non è tutto rose e fiori e i giapponesi non sono di certo famosi per la loro flessibilità. Ma il pragmatismo anglosassone si nota e aiuta a smussare le difficoltà"

Com'è lavorare per i giapponesi a Londra?

Matteo Calderoni ha 33 anni, è ingegnere del software e da due anni lavora a Londra, in una multinazionale giapponese di servizi It (Information technology).

Perché hai lasciato l'Italia?
Ho deciso di lasciare l’ Italia con la mia ragazza per provare a fare un esperienza diversa e migliorare la nostra vita lavorativa sia dal punto di vista economico che da quello professionale e formativo. La cosa che più mi pesava era il fatto che dopo 5 anni di lavoro mi trovavo più o meno allo stesso livello economico di quando avevo cominciato, in un periodo certamente di crisi economica ma in cui la progettazione del software ha invaso ogni tipo di settore in tutto il mondo moltiplicando (in teoria) le opportunità per chi fa il mio lavoro. Purtroppo l’IT in Italia è spesso visto come una commodity e non come un asset strategico per innovare e differenziarsi dai competitor; da qui la tendenza a spostare l’IT in oustsourcing che a sua volta ha generato il proliferare di piccole società di consulenza. Nel migliore dei casi sono succube di un cliente poco attento a una programmazione strategica, nel peggiore fanno semplicemente body-rental.

Ora come ti trovi a lavoro? 
Molto bene il lavoro, in due anni ho ottenuto più riconoscimenti che nei 5 passati in Italia. Ma non voglio dire che qui sia tutto rose e fiori o che la gente non veda l’ora di darti un aumento: i problemi ci sono in tutti i luoghi di lavoro. Io lavoro in una grande azienda un po’ “vecchio stampo” e in più i giapponesi non sono di certo famosi per la loro flessibilità: questo a volte genera decisioni incomprensibili o una certa rigidità. Ma il pragmatismo anglosassone in questi frangenti si nota e aiuta a smussare le difficoltà: se una cosa va fatta si fa, se c’è un problema nessuno perde la calma e si cerca di valutare insieme come risolverlo. La bravura del middle management è la cosa che più mi ha colpito: in Italia ho avuto colleghi straordinari, persone veramente in gamba e capaci, ma quasi mai i manager erano all’altezza. Questo aiuta ad alimentare dubbi sui meccanismi di selezione usati in Italia.

E nella vita?
Anche la vita extralavorativa va bene. Pur facendo - io e la mia compagna - lo stesso lavoro che facevamo in Italia, siamo più tranquilli dal punto di vista economico e questo ci permette di pianificare meglio il futuro, nonostante Londra come è noto sia una città carissima. Per persone della nostra età senza figli è una città fantastica, che offre veramente moltissimo. A me personalmente piace molto vivere in una vera società multietnica (pur con tutti i limiti che anche qui ci sono sul livello di integrazione di alcune persone siamo ad anni luce di distanza dall’Italia). Ci sono ovviamente anche moltissimi italiani, in aumento da quando sono arrivato io: questo mi ha aiutato a farmi degli amici anche se comporta sicuramente anche degli svantaggi, ad esempio fuori dal lavoro l’inglese lo uso veramente poco. Il più grande difetto di Londra è l’eccessiva grandezza della città che rende anche difficile a volte avere delle relazioni di amicizia continue e durature come quelle a cui eravamo abituati in Italia: a volte passano anche dei mesi senza vedere alcuni amici. Oppure alcuni arrivano a Londra e dopo un po’ se ne vanno. Questo ha secondo me modificato anche il comportamento di alcuni italiani che sono qui da parecchi anni: sembrano quasi restii ad approfondire la conoscenza.

Hai valutato altri Paesi/soluzioni?
L’idea di andare all’estero si è prima presentata in astratto, senza una meta precisa. Abbiamo valutato per un po’ di tempo l’Australia, ma l’eccessiva lontananza ha costituito per me un fattore troppo importante. Londra è un buon compromesso: è a due ore da Milano, si parla una lingua che conosciamo, non serve il visto dato che siamo in Europa ma qui la crisi economica e’ stata superata, anche grazie alla forza della sterlina.

Ti pesa di più essere dovuto andar via o cosa?
Sono contento di essere andato via, l’unico rimpianto è di non averlo fatto prima. L’unica cosa che mi pesa è avere quasi tutti i miei affetti (famiglia e amici) lontani. E vedere che nonostante le difficoltà italiane parecchi miei amici si sono comprati una casa e stanno costruendo una famiglia, due cose che noi qui non credo faremo.

Torneresti in Italia? Se sì, a quali condizioni?
La nostra idea appunto è quella di provare a tornare in Italia nei prossimi anni per farci una famiglia. Quando lo diciamo ai nostri amici di qui ci guardano come dei pazzi ma nella vita non esiste solo il lavoro. Siamo disposti a sacrificare qualcosa per avere in cambio qualcos’altro. Le condizioni saranno ovviamente quelle di riuscire a trovare un lavoro dignitoso per entrambi.

Cosa rimproveri all'università italiana? E cosa, invece, ti ha dato?
La mia sensazione all’università è stata quella di un mondo ancorato a dei modelli del passato, magari vincenti ma non più in linea con la velocità a cui cambia il mondo adesso. Nel settore dell’It questo forse si nota ancora di più.

E a chi ci governa? Che suggerimento vorresti dare a Renzi?
Renzi ha voglia di cambiare le cose come forse nessun altro in Italia. Ma il nostro paese ha bisogno di una rivoluzione culturale che parta adesso per vederne i risultati tra 10, 15 o 20 anni: nessun politico investe su un termine così lungo. Vorrei aggiungere due cose...

Prego...
Il rispetto della legalità, un tema enorme che investe tutto, dalla politica, alla giustizia alla gestione del tifo negli stadi per fare degli esempi molto lontani tra loro, e l’abbassamento delle tasse per chi lavora e per chi offre lavoro. Percheé una multinazionale dovrebbe aprire in Italia se può fare il suo business, anche verso l’Italia, da un altro paese in cui paga la meta’ delle tasse? Ho di recente conosciuto un lavoratore autonomo che si è semplicemente spostato qui col suo lavoro mantenendo gli stessi clienti che aveva in Italia: paga tra i 10 e i 15 mila euro di tasse in meno all’ anno. Ti sembra normale?

Secondo te ha qualche marcia in più ha il Regno Unito rispetto a noi (nell'università o in altri campi)?
Qui esiste un’opinione pubblica. Sembra un’ affermazione banale o pomposa per cui ti faccio un esempio. Di recente un politico di primo piano del partito conservatore è stato condannato per aver dato del “plebeo” a un poliziotto che faceva il suo lavoro impedendogli di entrare a Downing Street con la bici. La notizia è uscita sui giornali, il politico ha negato di aver detto quella frase e allora il poliziotto l’ ha denunciato per diffamazione. Dopo due anni di processo il giudice ha riconosciuto il politico colpevole: deve pagare delle salatissime spese processuali e la sua carriera politica è finita. In Italia credi che ci sarebbe stato anche solo un caso su un episodio simile? Forse la notizia non sarebbe nemmeno uscita sui giornali. Questo signore non può ripresentarsi alla elezioni a maggio perché la forza dell’opinione pubblica lo travolgerebbe. In Italia in assenza di una legge che lo impedisce si ripresenterebbe certamente. Certo, la cultura anglosassone è diversa da quella dei paesi latini ma nella costruzione di un’ opinione pubblica il ruolo dei media è fondamentale. Il giornalismo si occupa di politica molto meno di quanto avvenga in Italia, e quando lo fa non fa sconti a nessuno.

Come ti vedi tra dieci anni? E come vedi l'Italia tra dieci anni?
Mi vedo in Italia con un buon lavoro e una famiglia.

Per quanto riguarda l’ Italia è difficile prevedere come sarà persino tra 10 mesi per cui non saprei rispondere.

 

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