Qualche tempo fa, quando Marcello Dell'Utri, l'inventore di Forza Italia, era ancora rinchiuso nel carcere di Parma, Gianfranco Rotondi, l'ultimo mohicano che custodisce il simbolo della Dc, andò a trovarlo per esprimergli il suo sostegno e per parlare del futuro. E in quell'occasione si sentì fare questo discorso: «Mi duole dirlo perché l'ho licenziato da assistente del Cavaliere, ma l'unico che ha delle chance di scendere in politica con successo, è Urbano Cairo. Sia pure in sedicesimo, ricorda Berlusconi». L'altro giorno, sprofondato in uno dei divani rossi di Montecitorio, Gianfranco Rotondi, ha ricordato quei ragionamenti. «Cairo - ha spiegato può essere il frontman che ci serve. Berlusconi è l'icona, il riferimento di tutti. Ma poi abbiamo bisogno di qualcuno che rappresenti il mondo che non si ritrova con Salvini. Perché se dentro Forza Italia ci sono quelli come Toti, quinte colonne della Lega salviniana, ci sono anche quelli che non si arrendono, che guardano dall'altra parte». Lo stesso giorno, a distanza di venti minuti, su un altro divano dello stesso Transatlantico, un altro esponente di Forza Italia, Roberto Occhiuto, si è lasciato andare agli stessi ragionamenti. «La verità - ha osservato - è che Salvini ci sta lasciando un grande spazio. Un'autostrada. Il problema non è la linea politica, quella c'è. Ci manca un frontman da affiancare a Berlusconi. Uno come Cairo, o giù di lì... ».
Uno... due... che dicono la stessa cosa, lo stesso giorno. Saranno coincidenze. Se poi, però, c'è anche chi si preoccupa - come Guido Crosetto («Cairo, siete sicuri, ma poi che direbbe Berlusconi?») -, allora ti accorgi che la questione, al di là dei nominalismi, si chiami Cairo, il patron del Corriere della Sera e di La7 o no, è posta. Sta lì: speranza per alcuni, preoccupazione per altri. In fondo la politica segue le leggi della fisica: se si lasciano degli spazi vuoti, sarà per i volumi o per le forze gravitazionali, gli spazi vengono occupati. E poi ci sono i corsi e i ricorsi della storia di vichiana memoria: nel '94 la crisi dei partiti della prima Repubblica portò al fenomeno Berlusconi, come risposta a un innaturale spostamento dell'asse politico a sinistra; ora, sulla crisi dei partiti della seconda Repubblica (dal Pd a Forza Italia), potrebbe nascere qualcos'altro come reazione a chi dà per scontato uno spostamento del baricentro politico verso la destra radicale. Allora nacque il Polo delle libertà per evitare la vittoria della gioiosa macchina da guerra di Occhetto, che tutti davano per scontata. Oggi potrebbe nascere qualcos'altro per impedire la vittoria dell'alleanza grillin-leghista, che certi atteggiamenti di Salvini evocano e che negli ultimi giorni il Cav paventa.
Le cronache delle prossime settimane sono piene di appuntamenti, su versanti opposti, che hanno questa chiave di lettura. Sabato prossimo in un convegno a Milano l'ipotesi di un nuovo contenitore politico con dentro Fratelli d'Italia, ex forzisti come Raffaele Fitto e azzurri che si preparano a dire addio a Forza Italia sotto i colori arancioni di Giovanni Toti, potrebbe fare un ulteriore passo avanti. Forse quello decisivo. «Un soggetto politico - congetturava nelle scorse settimane una delle artefici dell'operazione, Daniela Santanchè - alleato naturale di Salvini, che potrebbe raggiungere il 10% e garantirgli la vittoria. Forza Italia? Lì dentro sono rimasti quelli che puntano all'argenteria della casa, ma non si accorgono che l'hanno già portata via».
Sarà, ma tutto sembra troppo scontato, troppo semplice. Come la gioiosa macchina da guerra di Occhetto. Un meccanismo che - è fatale - sul versante opposto mette in moto altri meccanismi. Quando l'azzurro Gianfranco Miccichè, parlando alla Leopolda del Pd in Sicilia, sostiene che per vincere grillini e leghisti «c'è bisogno di un hacker», ricorda i ragionamenti di Rotondi e Occhiuto sul frontman. Mentre i discorsi «europeisti» che faranno da cornice giovedì prossimo a Roma a un incontro di reduci della seconda Repubblica come Cicchitto, Adornato, Brunetta e Bentivogli e intellettuali come Panebianco, per «un'alleanza trasversale antinazionalista», hanno come obiettivo quello di occupare lo spazio al centro.
Sono fenomeni che dovrebbero consigliare a Salvini di tenersi stretta l'alleanza di centrodestra con Forza Italia (che oggi nei sondaggi è maggioritaria): cioè una coalizione che ha un piede nella destra e un altro nell'area moderata, che mette insieme lo spirito sovranista ma ha anche un'anima di europeismo critico. E che, soprattutto, non lascia vuoti spazi che altri potrebbero riempire.
Invece, il leader della Lega tergiversa, cambia opinione, nella convinzione che la sua forza sia nell'assenza di un'alternativa a se stesso. Solo che in un Paese come il nostro che ieri viaggiava con uno spread oltre i 300 punti, con la Borsa di Milano in profondo rosso, con le azioni dei nostri istituti di credito in picchiata per colpa di una manovra economica del governo a dir poco azzardata, le alternative possono nascere. Eccome. Agli italiani puoi toccare tutto, meno il portafoglio. Se poi ti metti a braccetto con la stagionata (politicamente) Marine Le Pen, neppure con la nipote Marion, per dare vita a un Fronte della libertà, in Europa, nel nostro paese lasci senza presidio intere praterie nell'area moderata. Quell'area meno incline ai salti nel buio. Così se nel '94 la paura per la rivoluzione di Tangentopoli lanciò l'astro Berlusconi, non è detto che nei prossimi mesi i timori per i limiti della rivoluzione gialloverde, non aprano la strada a qualcun altro. L'Italia è piena di personaggi come Cairo, che fanno sondare periodicamente il proprio indice di gradimento. Che come l'editore del Corriere della Sera stanno sulla soglia della politica da tempo. Due anni fa a Mariastella Gelmini che gli proponeva di correre come sindaco a Milano, l'Urbano del palcoscenico nazionale, rispose: «Sono lusingato, ma non è il momento».
Appunto. E se non sarà Cairo, sarà comunque qualcun altro. «Cairo? Può darsi - risponde il capogruppo di Liberi e uguali alla Camera, Federico Fornaro - lui o altri. Ce ne sono molti. La crisi dei partiti apre gli spazi. Siamo in una fase volubile. In quattro mesi la Lega è passata dal 17% al 34%. Se arriva qualche notizia dalla Calabria torna al punto di partenza». Ecco perché Salvini dovrebbe pensarci non due ma tre volte, a smuovere troppo le acque, a rinunciare a un rifugio sicuro come il centrodestra antico.
Il rischio dell'apprendista stregone è sempre dietro l'angolo. E qualcuno tra i suoi dev'essere preoccupato. Lo stesso che ieri ha chiesto - ma solo per accademia - a un(a) sondaggista famoso: «Su quali tematiche la Lega potrebbe rompere con questo governo?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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