È una comunità sconvolta e che non si dà pace quella del Catanese dopo l’omicidio di Vanessa Zappalà per mano dell'ex fidanzato Antonino Sciuto. Sette i colpi d’arma da fuoco che l’assassino le ha inflitto mentre la tirava per i capelli la notte tra il 22 e il 23 agosto scorsi ad Aci Trezza. Una furia omicida consumatasi nonostante Vanessa, avesse più volte denunciato alle autorità le minacce ricevute dal suo ex nel momento in cui, dallo scorso mese di febbraio, aveva deciso di interrompere la convivenza e tornare a casa dei genitori.
Lo scorso 8 giugno, i carabinieri sono riusciti ad arrestare Sciuto in flagranza di reato mentre seguiva Vanessa sotto casa. In quel contesto, la Procura di Catania aveva chiesto per l’uomo i domiciliari, ma il gip ha ritenuto sufficiente l’applicazione del divieto di avvicinamento alla vittima di 200 metri. Adesso a far discutere è proprio questa misura. Quello che i familiari della vittima e l’opinione pubblica si chiedono è il perché di fronte a casi di così elevata pericolosità non si applichino misure restrittive più incisive. A queste domande risponde a IlGiornale.it Samantha Borsellino, avvocato penalista del Foro di Agrigento: “La morte di Vanessa - afferma la legale – rappresenta una sconfitta per tutta la società civile”.
Come è potuto accadere ciò che è accaduto?
"Non so rispondere con esattezza a questa domanda, in quanto non conoscendo il fascicolo, non so sulla base di quali elementi il gip abbia scelto la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, invece che gli arresti domiciliari. Ciò che bisogna considerare è che il giudice nella scelta delle misure cautelari da applicare deve osservare due principi generali: l’adeguatezza della misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto; la proporzionalità della misura rispetto all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata. Da questi due principi, ne discende un altro: il principio della gradualità della pena, per cui il giudice deve scegliere sempre la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee al caso concreto. Quindi presumo che nel caso di Vanessa Zappalà, il giudice abbia scelto la misura meno afflittiva in relazione al caso concreto".
Un’altra misura cautelare, durata pochi giorni per Sciuto, è stata quella degli arresti domiciliari. In questo caso cosa accade per il soggetto sottoposto alla restrizione?
"Con questa misura coercitiva il giudice vieta all’imputato di allontanarsi dalla propria abitazione o da un altro luogo di privata dimora o da un luogo pubblico di cura o di assistenza oppure, se istituita, da una casa famiglia protetta. La persona sottoposta agli arresti domiciliari, può essere controllata in ogni momento dal pm e dalla polizia giudiziaria, che possono agire di propria iniziativa. Per garantire l’osservanza degli arresti domiciliari, il giudice, dopo averne verificato la disponibilità presso la polizia giudiziaria, prescrive procedure di controllo attraverso mezzi elettronici quali il cosiddetto braccialetto elettronico".
Come funziona il braccialetto elettronico?
"In merito, è opportuno rilevare che il braccialetto elettronico non è una misura cautelare ma una modalità di esecuzione di altra misura cautelare, come ad esempio gli arresti domiciliari o il divieto di avvicinamento ai luoghi di frequentazione dalla persona offesa. A mio parere, proprio l’utilizzo del braccialetto elettronico fornirebbe alla presunta vittima una più adeguata tutela, a prescindere da quale delle due misure cautelari si scelga di applicare, in quanto potrebbero monitorarsi gli spostamenti dell’indagato/imputato, attuando una piena tutela della persona offesa. Ma in Italia c’è una gravissima difficoltà a reperire questi dispositivi".
Secondo il presidente della sezione gip di Catania Nunzio Sarpietro la misura applicata dal collega Filippo Castronovo è stata quella giusta. Lei come la vede?
"Non posso entrare nel merito, non conoscendo il fascicolo d’indagine".
Ci sono falle nel nostro ordinamento in materia di stalking?
"Il reato di stalking è stato introdotto nel nostro ordinamento con d.l. 11/2009 ed è disciplinato dall’art. 612-bis del codice penale il quale sancisce che il reato è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, salvo che il fatto non costituisca reato più grave, sanzioni accresciute con la l. 69/2019 (il cosiddetto Codice rosso) che ha previsto un minimo di 1 anno e un massimo di 6 anni e 6 mesi. Il Codice rosso, sotto il profilo del diritto penale sostanziale, ha introdotto nuovi reati (tra cui, ad esempio, il revenge porn) e ha inasprito le pene previste per fattispecie già presenti nell’ordinamento, in particolare quelle di maltrattamento contro i familiari e conviventi, atti persecutori e violenza sessuale. Tuttavia i casi come quello di Vanessa Zappalà mettono in luce delle indubbie criticità circa il sistema preventivo che il legislatore intendeva creare con il codice rosso. Non può negarsi che se da un lato questo importante intervento normativo abbia spinto molte donne a denunciare, dall’altro vi sia stato un intasamento di tutte le procure italiane, non attrezzate a far fronte a tanto lavoro sia per carenza di personale, sia per l’assenza di un’adeguata formazione che consenta ai magistrati e alla polizia giudiziaria di captare nell’immediato quali siano i concreti rischi caso per caso. I magistrati dovrebbero essere forniti di linee guida e le forze dell’ordine fornite di una adeguata formazione".
C’è qualcosa che andrebbe modificato, a suo avviso, per tutelare le vittime di atti persecutori?
"L’epilogo drammatico che ha interessato Vanessa Zappalà (e molte altre donne prima di lei) ritengo derivi dal divario esistente tra il grande 'sogno' che il legislatore intendeva realizzare con l’introduzione del Codice rosso e le applicazioni pratiche dello stesso. Non può negarsi la grave difficoltà in cui si trova la giustizia penale: il magistrato, in tempi brevissimi, deve sentire la presunta vittima, comprendere nell’immediato il grado di gravità della situazione, la veridicità delle dichiarazioni della persona offesa, la possibile esistenza di disturbi psichiatrici del presunto autore del reato. Di fatto, il magistrato dovrà svolgere il compito di un vero e proprio psicologo, assistente sociale, pm e giudice, con un sovraccarico funzionale che non può essere ignorato".
Perché vista la gravità dei fatti denunciati, non si è provveduto a rinchiudere l’assassino in una casa di cura?
"Credo che in Italia le pulsioni penal-populistiche debbano essere messe da parte, per focalizzarsi sulla realizzazione di un adeguato sistema preventivo più che repressivo. In altre parole, spesso dopo le tragedie come quelle di Vanessa, si ha una vera propria caccia al 'colpevole' ritenendo che solo 'rinchiudendo' l’autore di suddetti reati, il giudice avrebbe potuto evitare tragedie simili a quella di Vanessa. A mio parere più che una caccia alle streghe sarebbe molto più utile focalizzarsi su concrete esigenze: l'esigenza di promuovere percorsi di formazione specialistica per tutti gli operatori della giustizia i quali dovranno essere sempre più capaci di interagire con altre figure professionali quali criminologi, psicologi, assistenti sociali e così via".
Perché in questo, come in tanti altri casi, nonostante le denunce delle vittime si arriva ad un epilogo così
drammatico?"Sicuramente la morte di Vanessa l’avverto come una sconfitta per tutta la società civile, che arriva come un pugno dritto allo stomaco e che dovrebbe spingerci ad agire, per creare un sistema preventivo più efficace".
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