Coronavirus

Così la variante omicron mette ko gli anticorpi

La variante Omicron riusciurebbe a eludere la risposta degli anticorpi a causa dei cambiamenti su un recettore e gli aminoacidi: ecco i risultati del primo studio multidimensionale

Così la variante omicron mette ko gli anticorpi

Ormai sappiamo molto bene che la variante Omicron riesce ad "aggirare" gli anticorpi prodotti dal nostro organismo sia a seguito della vaccinazione ma anche con la precedente infezione naturale provocata dalla variante Delta o da quelle precedenti. Adesso, gli scienziati hanno scoperto come avviene questo processo.

Ecco il meccanismo

Uno studio del Mit "Massachusetts Institute of Technology), pubblicato sulla rivista Cell Reports Medicine ha messo in luce come Omicron possa eludere tutte e quattro le classi di anticorpi che dovrebbero "combattere" Sars-Cov-2: tutte le altre varianti, invece, al massimo riuscivano ad eludere soltanto gli anticorpi di classe uno e due limitando la possibilità di poter infettare un organismo protetto. Gli studiosi hanno adottato un nuovo approccio per spiegare e scoprire cosa stesse combinando Omicron analizzando la proteina Spike (quella che al virus serve per agganciare le cellule) usando un metodo di "modellazione computazionale", già utilizzato anni prima per studiare le mutazioni dei virus influenzali.

Lo studio multidimensionale

"Una tecnica che consente di determinare come le mutazioni nella sequenza genetica siano correlate nello spazio tridimensionale attraverso una rete di interazioni tra amminoacidi che influiscono sulla struttura e sulla funzione della proteina virale", afferma Ram Sasisekharan, professore di Ingegneria biologica e scienze della salute al Mit che con la sua equipe ha messo in piedi questa ricerca. In pratica, si è visto come gli aminoacidi riescano a interagire tra loro in base alla vicinanza. Prospettiva diversa, risultato diverso. Quando per la prima volta è comparsa la variante Omicron, si è cercato di capire con questo metodo come agissero le 35 mutazioni sulla proteina spike sulla capacità di eludere gli anticorpi umani: si sono accorti di come specifiche mutazioni sul legame del recettore Rbd rendono Omicron più contagiosa prendendo di mira, come detto prima, gli anticorpi "di classe 1 e 2, che attaccano il sito Rbd che si lega al recettore Ace2, e gli anticorpi di classe 3 e 4, che si legano ad altre parti di Rbd".

Differenza varianti e vaccini

Quanto descritto ha dimostrato la maggior infettività rispetto alle varianti che l'hanno preceduta. "Con Omicron si può notare un numero significativo di siti perturbati rispetto a Beta e Delta - ha confermato Sasisekharan - Dal ceppo originale al ceppo Beta, e poi al ceppo Delta, c'è una tendenza generale verso una maggiore capacità di fuga". Non solo, ma oltre a mettere ko gli anticorpi generati da una precedente infezione o quella prodotta dai vaccini, eludono anche molti dei trattamenti con gli anticorpi monoclonali sviluppati dalle aziende farmaceutiche. Capitolo vaccini: il ricercatore sottolinea come siano fondamentali perchè "offrono comunque protezione" in quanto generano non solo le cellule B che producono la prima barriera contro il virus ma anche le cellule T, chiamate di lunga memoria "che forniscono ulteriori forme di protezione".

"Apre le porte per il futuro"

L'approccio terapeutico che si cercherà di mettere a punto riguarda l'identificazione dei siti Rbd per provare a contrastare le mutazioni che sfuggono agli anticorpi creando un "cocktail" di anticorpi che colpiscano diverse parti della proteina spike. "Combinazioni che probabilmente dovrebbero includere gli anticorpi di classe 3 e 4, perché in grado di offrire meno vie di fuga al virus", sottolinea il prof. Sasisekharan. Ottimista su questo studio anche il prof. Giovanni Maga, virologo e direttore del Cnr di Pavia, che intervistato da Repubblica ha affermato che si tratta di uno studio "interessante, ma soprattutto utile perché ci apre nuove porte per il futuro". Omicron ha una duplice criticità: sfugge agli anticorpi ed è più contagiosa, ecco perché il lavoro dei ricercatori si è concentrata sull'analisi delle mutazioni di Spike osservando in maniera tridimensionale come il cambiamento dell'aminoacido potesse influenzare "la capacità degli anticorpi di legarsi al suo sito".

Da qui l'importanza dello studio che "può rappresentare una metodica per valutare come impatteranno quelle che si presenteranno in futuro", conclude.

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