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Quelle due ideologie che azzoppano il Def

Il pauperismo assistenzialista M5s e il pragmatismo liberista dei leghisti: ottimi per "andare a sbattere"

Quelle due ideologie che azzoppano il Def

Cantava Giorgio Gaber: «... l'ideologia malgrado tutto penso ancora che ci sia...». Forse la critica più vera alla manovra gialloverde è tutta nelle parole di quell'indimenticabile canzone. Certo ci sono i famigerati parametri di Bruxelles che, a sentire il commissario Oettinger, la Ue si prepara ad usare come una mannaia per bocciare il documento economico del governo Conte. O, ancora, l'assenza di coperture agitata da Bankitalia, dalla Corte dei conti e dall'Ufficio parlamentare di bilancio. Ma la questione, da cui discendono tutte le altre, è un'altra: si tratta di una «manovra ideologica», forse la più ideologica nella storia di questo Paese. Peggio: una manovra che non mette insieme la destra e la sinistra di una volta («ma cos'è la destra, cos'è la sinistra» si chiedeva Gaber già nel '94) ma due ideologie «minori» che hanno declinato ai nostri giorni - male - quei valori: l'ideologia populista-pauperistaassistenzialista grillina e quella sovranista-liberale-pragmatica leghista. Due ideologie che sono agli antipodi, che non si fondono, ma che sono state messe insieme forzatamente, dando vita nella manovra ad un vero Carnevale: addirittura oggi Di Maio andrà a denunciare in Procura chi, secondo lui, ha modificato il testo del decreto fiscale arrivato al Quirinale.

«Un mix micidiale - chiosa il vicepresidente della Camera, Mara Carfagna - che gioca d'azzardo con i risparmi degli italiani». «Da che mondo è mondo le ideologie applicate all'economia - ripete Pier Luigi Bersani, sul versante opposto - ti portano a sbattere contro un muro a 100 km all'ora». E Carlo Fidanza, uomo della Meloni, che di ideologie se ne intende, arriva a dire: «Quella manovra è un concentrato di ideologie contrapposte. Un casino».

E che casino! Nel giorno in cui Marco Travaglio, vestendo i panni del Matteo Renzi di una volta, per compiacere il governo gialloverde, dà, nei fatti, dei gufi a quelli che sono preoccupati, lo spread supera di nuovo d'impeto quota 300 (ieri ha toccato quasi i 309 punti) e la Borsa di Milano torna in rosso. Sintomi evidenti che un'ondata speculativa è in corso. Solo che, questo è il punto, la «manovra ideologica» è pane per i denti degli speculatori. E non deve sorprendere che i primi a saperlo sono proprio loro, i più avveduti tra pentastellati e leghisti. Basta ascoltare quello che dice Stefano Buffagni, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, uno dei pochi grillini che sa fare di conto: «Ci sono tutti i presupposti per una procedura di infrazione di Bruxelles nei nostri confronti». Come pure si dice «preoccupato» - anche lui - per i rischi di applicazione del reddito di cittadinanza, mentre è sicuro che «non si arriverà neppure lontanamente» a quegli 11 miliardi di gettito che, secondo i leghisti, dovrebbero venire dalla pace fiscale.

C'è poco da meravigliarsi: ai grillini già solo l'espressione «condono» fa venire l'orticaria. Ideologia, appunto. «Noi - spiega il sottosegretario grillino Simone Valenti - abbiamo due identità opposte. Una al Nord e una al Sud. È chiaro che possono esserci degli inconvenienti». Inconvenienti, che preoccupano altri pentastellati come Davide Crippa, Emilio Carelli, Federico d'Incà.

Solo che con l'ideologia non si va da nessuna parte. Come ha detto nel vertice di alcuni giorni fa Giancarlo Giorgetti a brutto muso a Di Maio: «Per avere il reddito di cittadinanza bisogna trovare i soldi. E non li trovi sotto il mattone: o aumenti la benzina o fai il condono». Con l'ideologia, però, non si ragiona. Se ne sono accorti i leghisti a loro spese. «L'ho detto al grillino Vito Crimi - racconta l'ex direttore di Radio Padania Alessandro Morelli -, parliamone. Il problema è che quelli sono figli di un'ideologia minore». «Sono ideologici, troppo!» si infervora il coordinatore dei giovani padani, Andrea Crippa: «Gli manca il pragmatismo brianzolo. Se metti insieme quelli che vogliono il condono e quelli che non lo vogliono, alla fine fai un condono che non piace a nessuno. E sono guai».

Guai. E questa manovra è piena di guai, figli di due ideologie che stanno al governo insieme, anche se fanno a botte. L'idea, ad esempio, era quella di fare un condono che desse una mano a quelli che non ce la facevano a pagare le tasse. Alla fine del tira e molla condono sì, condono no, è venuto fuori un testo che a chi ha presentato una denuncia dei redditi corretta ma non ha i soldi da dare all'erario, sconta poco più degli interessi, mentre agli evasori di professione, quelli che hanno nascosto al fisco le proprie entrate, dà la possibilità di pagare solo il 20% del dovuto. Oppure, ancora ideologia contro ideologia, dopo aver fatto di tutto, ma proprio di tutto, per scoraggiare l'immigrazione in Italia, si assegna anche ai residenti stranieri da 5 anni, il reddito di cittadinanza.

Altro punto: doveva essere una manovra espansiva, ma si tagliano alle imprese sgravi fiscali per 5 miliardi, per concederne 2,5 di nuovi. Per non parlare delle banche, che certo ci sono tutti i motivi per tartassarle, senza dimenticare, però, che il tallone di Achille del sistema Italia sono proprio gli istituti di credito. Come osserva Giulio Tremonti: «Lo spread non dipende dal debito pubblico, ma dalla vulnerabilità delle nostre banche». Solo che per l'ideologia grillina le banche sono per cultura un capro espiatorio.

Si tratta di totem, tabù, ossessioni ideologiche. Come sull'Europa. Paradossalmente se Mario Monti aveva la fissazione di accontentare Bruxelles ad ogni costo, Di Maio e Salvini - qui le due ideologie si incontrano - puntano a scontentarla. «Se la Ue è contro - teorizzava giorni fa il Matteo di governo - significa che siamo nel giusto». Il problema è che quando l'ideologia contamina l'economia sono guai: in tempi recenti e lontani, Stalin e Maduro insegnano. Se poi l'ideologia non è una, ma due, si rischia di far ridere. «La manovra Arlecchino - ironizza l'azzurro Marco Marin - è schiava di due padroni».

E quando si comincia a litigare, arrivano altri guai. Ad esempio, i leghisti si sono accorti di essere esposti sul fronte giudiziario: se i pentastellati hanno i loro referenti nella magistratura, loro no. Per cui, ora che sono sotto i riflettori del governo, fioccano condanne o richieste di condanna, che puzzano di logiche politiche. E provocano reazioni che certo non possono far piacere a chi, come i grillini, ha messo il giustizialismo al centro della propria ideologia. «Sarebbe necessario - teorizza il capogruppo dei deputati del Carroccio, Molinari - fare qualche correttivo alla Severino. Non so, però, se ci siano le condizioni». Magari lo strumento ci sarebbe pure, un emendamento di interpretazione della Severino nel provvedimento anti-corruzione all'esame delle Camere. «Non possiamo, però, presentarlo noi - spiega uno dei registi della Lega in Parlamento -, non possiamo creare noi l'incidente. Ma se lo presentasse Forza Italia...». Insomma, uno sgambetto a Di Maio. Come ha tutta l'aria di essere uno sgarbo a Salvini, l'emendamento che il grillino Gregorio De Falco vuole presentare sul decreto Sicurezza, che ripropone sotto altra forma il diritto d'asilo per ragioni umanitarie, cancellato in tutti i modi dal ministro dell'Interno. Botta e risposta. «Ma così - è la profezia di Dario Franceschini - non reggono».

Già, lo scontro tra due ideologie, quando scoppia non ha limiti.

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