Verdini a Renzi: ci serve Silvio per sopravvivere

Verdini a Renzi: ci serve Silvio per sopravvivere

L'esordio di Denis Verdini, nel bel mezzo dell'emiciclo del Senato, è quello dell'inguaribile ottimista, quasi del guascone. «Il referendum sulle riforme costituzionali? Renzi - risponde - vince 70% a 30%. Lui ha uno slogan chiaro: mandiamo a casa i senatori. Il nostro capo, Berlusconi, ci ha insegnato che le campagne si vincono con uno slogan azzeccato». Ma quando la spavalderia toscana, quel tratto che lo rende tanto simile a Renzi, lascia il posto al ragionamento, allora nelle parole dell'inventore del patto del Nazareno si intravedono i dubbi e le paure che angosciano i suoi seguaci. Il Verdini sincero, quello del confessionale, scopre i possibili limiti del suo disegno politico e chiede aiuto. A chi? Naturalmente a Berlusconi. Eh sì, la vecchia volpe ha capito che il premier non ha nessuna intenzione di cambiare la legge elettorale, che, al di là della pubblicità di maniera, al referendum il governo rischia, che i vari «centrini», più o meno alleati, non supereranno mai la soglia del 3%, la percentuale di «sopravvivenza». «Noi - spiega, lusingando appunto il suo vecchio capo - abbiamo emarginato la sinistra del Pd, ma ora c'è bisogno del Cav. Mi fanno la guerra tutti. Zanda tratta direttamente con gli scontenti per evitare che qualcun altro venga nel mio gruppo. Mi basterebbero 20 senatori in più per fare a Renzi una proposta sulla giustizia impensabile, ma che non potrebbe rifiutare. Una sola, ma vera. Magari mandare in soffitta la legge Severino. Anche perché lo stesso Renzi ha capito che prima o poi toccherà a lui: il suo discorso in Senato dimostra che in 2 mesi abbiamo costretto il Pd a un cambiamento antropologico. Ma l'unico che può rimettere insieme l'area centrale, il pulviscolo di sigle dello 0,5%, dell'1% è Berlusconi. Un'area che potrebbe guardare a un centrodestra non egemonizzato dalla Meloni e da Salvini. O a Renzi. L'unico che può farlo, appunto, è il Cav. Solo che bisogna ragionarci su. Mi piacerebbe organizzare una due giorni chiamando Forza Italia, Ncd, quelli di Fitto e noi su questi temi».

A bene vedere si tratta di un corteggiamento diretto, quasi un sos al Cav. Parole che riecheggiano in fondo lo spirito del discorso di Renzi in Senato: anche lì tanta spavalderia, ma l'approccio al tema sulla giustizia, il ricordo delle riforme fatte insieme a Forza Italia, le fusa al capogruppo degli azzurri Romani, dimostrano che Renzi è consapevole del pericolo che corre e del fatto che, per scamparlo, ha bisogno del Cav o, soprattutto, dei suoi voti. «La matematica - osserva con una punta di sarcasmo il consigliere di Bersani, Miguel Gotor - non è un'opinione». E i conti sono semplici a farsi. Se il centrodestra, da sempre incline al masochismo, non sbaglia a Roma (per cui deve puntare o su Meloni o su Marchini), il Pd nelle prossime amministrative rischia di perdere a Milano e di non arrivare neppure al ballottaggio nella Capitale, né a Napoli. Per non parlare del referendum del prossimo autunno. I risultati di quello sulle trivelle dimostrano che lo schieramento anti-Renzi nel Paese è tutt'altro che debole. Anzi. «Se si fa un'equazione - spiega il leghista Claudio Borghi - mettendo in relazione l'affluenza delle ultime tornate elettorali e i risultati di domenica, si scopre che con il 50% di affluenza nel referendum sulla Costituzione il No arriverebbe al 57%». Esagerato? Mica tanto. Anche i renziani allergici alla mera propaganda lo ammettono. «I dati di domenica - confida Rosa Maria Di Giorgi - sono terribili. Per vincere il referendum Matteo deve portare il 70-75% di italiani alle urne in autunno. E, soprattutto, non dovrebbe comportarsi come se avesse la fiducia di quel 51% di italiani che non ha». Sono ragionamenti, intuizioni che vengono confermati nei sondaggi, dove il No alle riforme costituzionali renziane è davanti già ora di qualche punto al Sì.

Un quadro generale che rende euforici gli oppositori di Renzi nel Pd. Addirittura i più miti, come Vannino Chiti, criticano l'eccessiva prudenza di Bersani. «Pier Luigi - spiega - vuole vedere i risultati delle Amministrative per prendere una posizione sul referendum. Solo che sbaglia: non può dire cose più dure delle mie e poi frenare. Dai dati del referendum emerge che un 30% dell'elettorato del Pd è contro Renzi, ma se non gli dai un riferimento, rischia di scivolare verso i grillini. Forse è più logica la posizione di D'Alema che pensa ad un altro partito».

Insomma, Renzi è messo male. Possono salvarlo solo gli errori dei suoi avversari (non è la prima volta). Mentre non lo aiuta di certo una certa arroganza. «Non puoi sfottere i perdenti», è il rimprovero al premier di Silvio Sircana, l'uomo ombra di quel Prodi che domenica scorsa è andato a votare. E non lo aiuta neppure un eccesso di spavalderia. Giorni fa al senatore verdiniano Giuseppe Ruvolo che dissertava con lui sul futuro, il premier, accarezzando il bavero della giacca del suo interlocutore, gli ha fatto una battuta: «Tu non hai ancora capito che io punto al 51%!».

Ruvolo, dall'alto della saggezza siciliana, gli ha risposto: «Guarda che gli italiani neanche al Padre Eterno darebbero il 51%». Poi, commentando qualche minuto dopo frastornato la frase del premier con Verdini, ha esclamato: «O non ho capito niente io, o quello è pazzo».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica