Vi racconto la mia verità sul fascismo

Sul banco degli imputati: il sottoscritto, Roberto Vannacci. Non una novità. Anzi, il processo è stato raggirato arrivando, da subito, alla condanna definitiva in terzo grado di giudizio. Giustiziato per aver giustificato le leggi razziali, per aver scagionato il fascismo e per aver voluto derubricare nefandezze appurate "per legge

Vi racconto la mia verità sul fascismo
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Condannato per non aver commesso il fatto. Questa è la sentenza a seguito delle polemiche degli ultimi giorni. Accusare per ciò che non si è detto o per ciò che si sarebbe dovuto dire è, infatti, una delle tecniche, tattiche e procedure del pensiero unico che uniforma le idee e squalifica, delegittimandolo e togliendogli la dignità di interlocutore, chiunque esprima opinioni dissimili dalla corrente unica di pensiero.

Sul banco degli imputati: il sottoscritto, Roberto Vannacci. Non una novità. Anzi, il processo è stato raggirato arrivando, da subito, alla condanna definitiva in terzo grado di giudizio. Giustiziato per aver giustificato le leggi razziali, per aver scagionato il fascismo e per aver voluto derubricare nefandezze appurate "per legge". A onore del vero, la singolarità del processo sommario si basa sull'originalità dell'accusa che non mette in discussione ciò che avrei detto, bensì, mi incrimina per ciò ha detto qualcun altro, per ciò che non avrei detto, oppure, per ciò che avrei dovuto dire secondo i benpensanti.

Il tanto vituperato post su Facebook, infatti, riporta in virgolettato la frase di uno storico (Francesco Perfetti) e una serie di verità inconfutabili circa le elezioni del 1921, in esito alle quali Mussolini fu eletto deputato, e sull'approvazione delle leggi dal 1923 al 1938 avvenuta rispettando formalmente le procedure dello Statuto albertino. Ma allora, come mai tanto accanimento per aver riportato l'opinione di uno studioso e per aver elencato fatti riscontrabili e facilmente verificabili tramite la consultazione di archivi o, magari, di qualche libro non facilmente reperibile nelle scuole? L'accusa è implacabile: perché ha omesso di parlare del contesto, delle violenze, delle squadracce, dei manganelli, dell'olio di ricino, della dittatura, del delitto Matteotti, dell'Aventino e, così, ha giustificato una delle più vergognose pagine di storia che l'Italia abbia vissuto facendo apparire le leggi razziali (da me mai nominate) come democratiche e condivise. Quindi: condanna per "non aver detto".

Ora, la tesi dell'accusa è alquanto strampalata: la citazione di fatti storici incontrovertibili non può essere interpretata a piacere e, soprattutto, non giustifica un bel niente. Anche la tesi secondo cui avrei giustificato le leggi razziali del 38 asserendo che sono state approvate, come effettivamente lo sono state, da un Parlamento e firmate da un re ha del grottesco. Le azioni, gli atti, le leggi non sono giuste o sbagliate in base a chi le intraprende, a chi le approva o a chi le promulga. Sono vergognose in base a ciò che stabiliscono! In Italia, grazie a una legge della Repubblica approvata dal Parlamento, lo stupro era considerato un reato contro la morale sino al 1996: questa legge era esecrabile a prescindere che fosse approvata o meno da un Parlamento. Lo stesso dicasi per il "delitto d'onore" (esistente sino al 1981) che consentiva di ridurre la pena per chi uccideva una donna per difendere l'onore familiare. Negli Usa le leggi Jim Crow, valide sino al 1964 e che stabilivano la segregazione razziale, erano state approvate dai governi dei vari Stati e confermate dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, ma ciò non le rendeva meno esecrabili.

Inoltre, virgolettare la tesi di uno storico, eventualmente espone lo storico e non chi lo cita.

Ma sembrerebbe che il torto più grande sia, come al solito, quello di trattare di un periodo storico "condannato per legge" omettendo di condannarlo ossessivamente in preambolo. Scriveva Alain de Benoist che la società moderna basata sul trionfo del pensiero unico "non risparmia neanche la storia. Creino o no nuovi delitti penali, siano o no repressive o puramente proclamatorie le leggi memoriali rientrano in questo quadro che coniuga pentimento e vittimologia. Così la legge Gayssot che vieta la contestazione delle conclusioni del processo di Norimberga, la legge che riconosce il genocidio armeno contestato dai Turchi, la legge Taubira che definisce la tratta negriera come un crimine contro l'umanità. Esse insinuano che la legge è idonea a decidere della verità storica. Il che è un'aberrazione.

Alimentano pentimenti pubblici che, spingendo a ricordare il passato come un crimine, funzionano come altrettanti avvertimenti retroattivi e miti incapacitanti". Ora, speriamo di non essere condannato per aver virgolettato Alain de Benoist.

Roberto Vannacci

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