E chi glielo va a dire, adesso, all'Unesco? Dopo tutta la trafila di pratiche, domande, supporti e relazioni, chi glielo va a dire che la "Cucina italiana" non esiste? Ad affermarlo, tra l'altro, non è un qualsiasi cittadino del Belpaese, ma un docente universitario di tutto rispetto: il professor Alberto Grandi, docente di Storia del Cibo all'Università di Parma. Il docente ci ha persino scritto un libro, con Daniele Soffiati. Non è la prima volta che si accendono polemiche sulle affermazioni del professor Grandi; stavolta, però, ad andarci di mezzo potrebbe essere addirittura la dichiarazione dell'Unesco che classifica la cucina italiana quale "Patrimonio immateriale dell'umanità". Cosa assurda, secondo Grandi che costruisce la propria affermazione sull'inesistenza fattuale della cucina italiana con esempi e prove a suo dire decisivi. Ecco la tesi di Grandi: non si mettono in discussione la bontà dei prodotti italiani odierni, ma la loro storia mitizzata. La cucina italiana, insomma, altro non è che un mito creato fuori dall'Italia: l'identità gastronomica italiana si è formata all'estero (soprattutto in America) e poi è tornata in Italia, creando un'immagine distorta. Si tratterebbe, insomma, di una semplice invenzione di marketing, ossia "La "cucina italiana" come la conosciamo oggi è un'efficace strategia di marketing sviluppata negli ultimi decenni". In sintesi, quando il professore di Parma dice che "la cucina italiana non esiste", il riferimento è alla sua tesi, per cui la nostra cucina è un'invenzione recente, un'identità costruita, non un'antica tradizione scaturita dalle tante realtà gastronomiche locali, confluite in un unico patrimonio agroalimentare. Ma Grandi non si limita ad affermare l'inesistenza di una pretesa "cucina italiana", perché, a suo dire, anche i prodotti tipici del Belpaese sono frutto di operazioni di marketing. Lo scrive nel libro "Denominazione d'origine inventata. Ecco un paio di esempi. "Il Parmigiano Reggiano più simile a quello creato tanti secoli fa dalla sapienza dei monaci emiliani? È il Parmesan prodotto nel Wisconsin, in USA. E quella meraviglia dolce e succosa, coccolata dal sole e dall'aria della Sicilia, che si chiama pomodoro di Pachino? È un ibrido prodotto in laboratorio da una multinazionale israeliana delle sementi".
E via di questo passo E l'Unesco? E i consorzi dei prodotti a denominazione d'origine italiani? E la difesa del "Made in Italy" dalle imitazioni? Tutto da ridiscutere, da rivedere, da riscrivere Ma non sarà, poi, che a raccontare quelle che Montalbano chiama "farfanterie" sia proprio Grandi?