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ConTanima, una passeggiata in Alto Adige parlando napoletano

Il ristorante della bellissima Glasshouse del Parkhotel Laurin nel centro di Bolzano propone la cucina dello chef partenopeo che mixa le sue origini, la terra che lo circonda e le sue mille esperienze in giro per il mondo in un menu molto convincente per la capacità di unire racconti differenti e comunque sempre coerenti. Tra una Puttanesca con ingredienti di montagna e una Sacher napoletanizzata

ConTanima, una passeggiata in Alto Adige parlando napoletano

Metti un napoletano in Alto Adige. Già un bel contrasto, non trovi? Metti poi che questo napoletano sia Dario Tornatore, quarantenne, chef giramondo con esperienze a Londra, in Giappone, a Roma, in Medio Oriente, dovunque abbia trovato stimoli per crescere e qualcuno che investisse su di lui, ma sempre con la voglia di mantenere viva, dentro di sé, la fiammella delle sue radici. Ed ecco che una cena nel suo ristorante fine dining nella Glasshouse dello storico Parkhotel Laurin, nel centro di Bolzano, può diventare davvero un’esperienza di ricche e continue contaminazioni, parola del resto richiamata nel nome stesso del locale, ConTanima.
Conosco Tornatore da molti anni, ma non l’ho mai trovato così in forma come nella mia ultima visita, in cui ho potuto provare il suo ultimo menu autunnale, nel quale gioca con ingredienti biologici locali, di qualità e stagionali, con i quali intesse un racconto universale, magico, locale e globale al contempo, elettrico e rilassato. Racconto che viene guidato attraverso delle frasi che nel menu accompagnano ogni piatto.

Il percorso inizia con un benvenuto composto da un’insalata di uva con capperi, uvetta e acetosella; una pera Martin Sec con graukäse e nasturzio; una rivisitazione del Tirtlan della Val Pusteria, solitamente realizzato con i crauti e qui invece fatto con farina di segale e castagne; una zucca fermentata con kimchi di zucca, il tutto accompagnato da una kombucha di caco.
Poi arriva in tavola una candela, che però non è fatta di sego bensì di burro. La fiamma la scioglie, riempiendo il piattino sottostante del magnifico grasso caldo. Quindi ecco una portata di grande impatto visivo, anche grazie a un piatto realizzato da un’artista slovena appositamente per ConTanima e che riproduce un cuore, che accoglie un carpaccio dello stesso organo di manzo, marinato nel black lime per 35 giorni e accompagnato da una crema di fagioli neri, scalogno in carpione e aceto balsamico 40 anni. «Un vecchio macellaio di Roma – spiega Tornatore – mi raccontò che il cuore, se cotto con rispetto, parla più del cervello. Così ho deciso di servirlo in un piatto a forma di cuore, affinché ogni morso sia un gesto d’amore. Non tutti sanno ascoltare un cuore, ma qualcuno saprà gustarlo».

Il seguito del racconto è affidato al Panettone del bosco, che «nasce da una giornata nel bosco con gli amici, tra passi lenti e risate, il muschio che scricchiola e il fiato della terra bagnata». Cita il lievitato natalizio, ma in realtà è realizzato con miso e accompagnato da vari tipi di funghi (chiodini, finferli, shiitake, pioppini, porcini), serviti in diverse preparazioni e consistenze. Un piatto davvero notevole. Poi mi arriva un Coniglio nel cilindro, che evoca il ricordo di un cilindro di latta che, girando una manovella, faceva fuoriuscire un coniglietto di stoffa, un regalo del nonno al Dario bambino: una rillette di coniglio cotto nell’olio a bassa temperatura con pane croccante, spuma alla cacciatora e levistico.

Altro piatto molto interessante è il Beyond plin, una versione ribelle del raviolino piemontese, qui in versione vegana, farcita con una finta carne realizzata con le proteine del pisello, crema di tartufo nero e tagete. Una piccola attesa e arriva un inno alla meridionalità, la Puttanesca di montagna, un piatto di «un napoletano che ha imparato l’arte di arrangiarsi e ricrea i sapori di casa con gli ingredienti locali». Un risotto con il tarassaco al posto dei capperi, la corniola acida al posto del pomodoro eccetera. Il gioco funziona.
Quindi il piatto re della serata, dal nome che sfida la blasfemia: Porco Bio!, da un maiale biologico della Val di Funes, allevato allo stato brado e proposto in tre lavorazioni: filetto marinato e cotto alla brace in “crosta” di pelle soffiata; taco di verza ripieno di pulled pork; terrina di maiale tra cialde di pane su maionese di ’nduja ed erbette. Magnifico.
Si va verso la fine. Il predessert gioca sulle freschezze con la calendula, un gel all’amarena e alle erbe aromatiche, che l’azoto liquido cuoce e cristallizza. Poi una Sacher moderatamente reinventata (e napoletanizzata) e alcuni petit fours.

Un percorso interessante, a tratti entusiasmante, il fermo immagine di uno chef nel pieno della sua maturità espressiva, sicuro e consapevole, che padroneggia gli elementi e li modella in base alla sua urgenza espressiva. Il menu presenta in tutto 12 proposte, di cui 4 vegetariane e 4 vegane. «Non si tratta di una scelta mirata a bilanciare le proposte in carta, sono le materie prime di questo stesso territorio a guidarci: produttori appassionati, vegetali ed erbe aromatiche genuine che invitano a sperimentare e a lasciarsi ispirare nella creazione di nuovi piatti pensati per valorizzarle», spiega lo chef. Tre i percorsi possibili, da 3, 6 o 8 portate: quest’ultima opzione, “Zero scelta, solo fiducia”, prevede un percorso ogni volta inedito tra piatti dal menu e creazioni esclusive in edizione limitata, anche “fuori carta”.


Il servizio è gentile e competente; la carta vini, curata dal maître-sommelier Simone Maggiore, propone anche etichette dal mondo naturale, biodinamico e del circuito Triple A, nonché una proposta di pairing analcolici, come i fermentati di barbabietola, e di abbinamenti cocktail realizzati al tavolo di fronte agli ospiti.

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