Impero, il ciociaro che rivoluziona l’Umbria

Il giovane chef di Ferentino nel ristorante Elementi Fine Dining nel Borgobrufa Spa Resort a Torgiano, a due passi da Perugia, esibisce i frutti di un grande studio del territorio e valorizza i tanti piccoli produttori di una regione che spesso non sa raccontarsi. Il percorso Ispirazione è quanto di meglio si possa trovare da queste parti. Con buona pace di Vissani

Impero, il ciociaro che rivoluziona l’Umbria

Ci voleva un ciociaro per cambiare il destino della gastronomia umbra? Il dubbio mi è venuto mangiando qualche sera fa da Elementi Fine Dining, il ristorante gourmet del Borgobrufa Spa Resort nel territorio ad alta vocazione enologica di Torgiano, non lontano da Perugia. Qui lo chef Andrea Impero da Ferentino, ancora ben giovane (33 anni), è arrivato cinque anni fa con l’idea di conoscere al meglio un territorio che è un vero giacimento di prodotti e tradizioni e che però non riesce mai a comunicarsi come si dovrebbe, un po’ per incapacità propria e molto per l’ombra della vicina Toscana, così glamour e così nobile. Andò che all’arrivo di Impero la struttura fosse in fase di ristrutturazione e che lui decidesse di trascorrere quei lunghi mesi di inattività a fare una full immersion nel territorio: ogni giorno un produttore, un artigiano, un contadino, un allevatore, un formaggiaio, un salumiere. Quando si è messo finalmente ai fornelli Impero aveva un database personale formidabile, e una voglia irrefrenabile di sfidare l’immobilismo di un’intera regione, una bellissima addormentata.

Impero ha belle esperienze: nella sua pur non lunga carriera ha lavorato con Alfonso Caputo, con Alfonso Iaccarino, e soprattutto è stato per anni a capo della cucina di un ristorante stellato di Mosca, ciò che gli ha dato un uso di mondo notevole. La cucina di Impero è sicura e interessante con tante idee, spesso perfino troppe. Parte dal territorio per fare lunghi giri e ritornare allo stesso territorio con grande consapevolezza. In questo momento propone due menu degustazione ben distanziati: il Visione è un viaggio nell’Umbria più profonda, un red carpet accogliente per i piccoli produttori ormai diventati amici (130 euro); io ho però provato il secondo, l’Ispirazione (140 euro), un racconto più personale e intimo delle suggestioni di Impero e per questo certamente più estremo in alcuni episodi. In ogni caso chi vuole uscire dalle gabbie dorate dei due percorsi può scegliere ciascun piatto costruendosi un suo percorso.

Ecco l’Ispirazione, dunque. Partenza con un tocco di cucina tradizionale umbra: un Pane e salame scomposto con pane sciapo locale a lievitazione naturale, una fetta di salame fatto dallo chef con carne di suino cintino nero brado del Trasimeno, aromatizzato al Sagrantino, al pepe Sarawak e all’aglione e una Cialda di farro di Bio Alberti. Poi Novembre 23, un piatto nato nello scorso autunno sia per celebrare la prima stella Michelin ottenuta proprio quel mese sia per omaggiare la stagione e che propone una serie di conserve con zucca, moscard de Provence, funghi trombetta dei morti aromatizzati al tartufo nero pregiato e un biscotto di farina di nocciole. Poi uno dei piatti più sorprendenti, Cogliere, un repertorio pittoricamente notevole di erbe, radici, fiori e le foglie che i titolari dell’azienda agricola Il Fauno, di Pico, sui Monti Aurunci, raccolgono di persona. Ognuna di queste si mangia in purezza oppure accompagnato da semplici condimenti. Un piatto che cambia il paradigma del vegetale in cucina. Poi un altro assoluto, stavolta marino (in una regione senza sbocchi al mare), Un Povero Ricco, che utilizza ogni parte dello sgombro e trasforma l’Omega 3 e l’Omega 6 (la ricchezza del povero pesce, appunto) in un vero ingrediente.

A questi due piatti frutto di un pensiero fortissimo segue l’oasi di una pizzetta al pomodoro, saporitissima e forse volta a rassicurare eventuali clienti turbati da tanto ardire. Poi Stasera a casa di Alice, che gioca con le memorie infantili: quadrucci ripieni di alici di Cetara con salsa normanna con sogliola e burro aromatizzato al tartufo bianco: idea interessante, sapore forte, una bella dose di ironia. Quindi un altro piatto-mondo: il De Bello Gallico, che gioca sulla querelle italo-francese sulla paternità della crespella, qui evocata anche da una tavola di Asterix: crespella di grano saraceno ripiena di zabaione salato aromatizzato al piment d’Espelette (un peperoncino dei Pirenei), grano in chicchi aromatizzato allo yuzu, ricci di mare e bouillabaisse. Interessante anche Anime, animella e midollo di vitello con spugnole fermentate, malgrado una mancanza di sapidità di cui ho un po’ sofferto. Si risale con Festa Mobile che gioca con il concetto del cotechino con lenticchie di Capodanno sostituendo però al maiale la gallina vecchia di Laura Peri e una lenticchia pregiata della Tuscia presentata come fosse un caviale. Strepitoso. Chiusura salata con Non Racconto Bufale, che celebra le miracolose proprietà nutrizionale della carne di bufala in quattro preparazioni: salsa Stroganoff con latte di bufala, Tartare conditi con olio e sale, lingua trattata come una bresaola e salsa verde e stufato. Chiusura con il Poeta, un pre-dolce che rende protagonista i prodotti delle api, con una tartare di cuore di manzo conservata per un mese in cera d’api su confettura di mela cotogna e spolverata di polline millefiori e una seadas umbra con pecorino e miele di Giorgio Poeta. Accompagnamento con l’idromiele. Il dolce vero e proprio è un omaggio alla prosperità del grano e alla Notte di San Giovanni in cui si traevano auspici sul raccolto.

Elementi, ristorante

Bilancio finale: l’esperienza da Elementi è probabilmente quanto di meglio si possa provare al momento in Umbria e non mi sorprenderei se il locale raddoppiasse presto le stelle. Certamente qualcosa di molto più elettrizzanti rispetto a Casa Vissani, dove sono stato un mese fa, che rappresenta il racconto un po’ stanco ancorché ancora blasonato di un’Umbria un po’ fané (ma il nome funziona ancora e infatti il menu grande costa 235 euro). Insomma se devo consigliare, Impero batte Vissani nettamente per contemporaneità e pensiero e poi l’età è dalla sua parte.

L’unico difetto è un menu un po’ troppo lungo, appesantito da un racconto che alle volte potrebbe essere più stringato: una portata in meno (o anche due) renderebbe tutto più agile e moderno. Il servizio in sala, guidato dal bravissimo Mimmo Scuotto d’Antuono da Monte di Procida, è sinfonico. La carta dei vini è ben strutturata e non troppo prolissa e dà il giusto spazio alle etichette del territorio.

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