Un ristorante altoborghese, con uno standard elevato di cucina e servizio, preciso e composto, senza gli eccessi anni Ottanta di cui Milano si va riempiendo negli ultimi tempi. Così mi è apparso nella mia visita Procaccini, il nuovo ristorante fine dining che ha aperto appena un paio di settimane fa al numero 33 dell’omonima via. Un progetto nato già grande, che sembra destinato a entrare presto nel geolocalizzatore dei foodies milanesi, almeno di quelli che puntano a luoghi in cui la forma conta, ma la sostanza di più.
Nella bella cucina a vista con bancone dove mi sono arrampicato per la mia cena opera il giovane Amin Haziri, ventottenne di origini kosovare che ha lavorato come executive chef al Cannavacciuolo Bistrot di Torino, dove era arrivato alla stella, e ha avuto esperienze con Carlo Cracco, con Enrico Bartolini e con lo stesso Antonino Cannavacciuolo a Villa Crespi. Haziri mi è sembrato serio e concentratissimo (con il tempo arriveranno i sorrisi, ne sono certo) e la sua idea di cucina mi è apparsa molto ben definita, votata a concentrare gli sforzi verso il sapore, obiettivo che raggiunge anche attraverso piatti con pochi elementi bene assortiti e tutti di alto livello. Mi è piaciuta in particolare la sua capacità di far dialogare ingredienti nobili e ingredienti plebei dando a tutti la giusta ribalta. “Milano – dice lo chef - è il palcoscenico ideale per ogni chef che vuole proporre la propria idea di cucina -. Contemporaneizzazione della tradizione e selezione dell’eccellenza nella scelta delle materie prime sono le mie stelle polari e se la vera ricchezza della persona è riuscire oggi a governare il proprio tempo, dedicando i giusti momenti al lavoro e al riposo, analogamente il lusso in cucina è poter seguire incondizionata il ritmo della natura e ricercare il meglio sul territorio”.
La cena è stata piena di episodi interessanti. Sono partito con quattro “frigerie” tra le quali ho amato particolarmente il Sandwich con sgombro e senape e la Crocchetta di baccalà mantecato con menta. Poi un benvenuto a base di gambero rosso di Mazara , mandorle, limone salato e crema di mandorle. Sono entrato nel vivo con lo Scampo di Mazara su insalatina di fave e piselli con la sua bisque e poi mi sono goduto il Gambero di Mazara (con la testa firtta) e bisque al dragoncello. Poi una capasanta cruda con wagyu, scarola riccia e maionese di bottarga, quindi compare un vasetto con un fiore, che “cresce” in una spuma di patate, funghi porcini, nasturzio e cardoncello saltato, un piatto soave e divertente, il che non guasta mai.
Haziri crede molto nella pasta, al contrario di molti chef nostrani che sembrano vergognarsene, ed ecco un tris di primi: Ravioli di anatra, foie gras e lampone (notevole), la Linguina con salsa champagne con teste di aragosta, funghi champignon, levistico e panna che si propone di diventare un “signature” del ristorante. Così come lo Spaghetto con lumachine di mare, wakame e pepe di Sichuan, che gioca su un equilibrio complesso. Un solo secondo ma molto ben eseguito: il Baccalà con la sua trippa, limone salato, nasturzio e salsa di concentrato di cipolle arrosto. I dolcie, eseguiti dalla brava Anna Ruotolo, partono da uno scaldamuscoli di base crumble al basilico, melone e aceto balsamico e proseguono con una playlist di banana in varie consistenze (cotta nel caramello, cremoso, chips) con miso e bergamotto e con un Babà con bagna alle spezie e passion fruit e crema di vaniglia.
Tre i menu: il Viaggio dello chef è il più completo (165 euro), il classico un po’ più stringato (135) e il vegetariano (110) sul quale lo chef confessa di puntare molto. C’è anche una carta che oltre ai piatti che fanno parte anche dei percorsi propone una selezione di crudité e di caviale.
Qualche dettaglio va messo a fuoco ma il locale è aperto da pochissimo e c’è tempo per crescere ancora, ma mi permetto di sfidare la notoria scaramanzia degli chef preconizzando un futuro stellato (quest’anno o il prossimo). La brigata è ricca, quattordici persone che si alternano e che volteggiano nella cucina non enorme ma ben organizzata, ognuno sembra sapere perfettamente cosa fare. Il locale, curato dall’architetto Alberto Baronio e dall’interior designer Andrea Raso è elegante, si ispira all’Italia del boom economico, che esplorava il lusso borghese senza mene minimaliste. Diciamo che non si vergogna di proporsi a un pubblico di fascia alta che voglia star bene e uscire più felice di quando è entrato.
C’è anche un pianista che accompagna discretamente il pasto. Il servizio è garbato, domina la figura del sommelier Edoardo che guida con maestria e un po’ di teatralità.Procaccini, via Procaccini 33, tel. 0277091277. Aperto tutti i giorni solo la sera
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.