Cultura e società

Delirio Washington Post: "Non ci sono calciatori neri, Argentina razzista"

Ennesimo delirio politicamente corretto del Washington Post: in un articolo fa le pulci all'Argentina perché non vi sarebbero giocatori di origine africana. Ma l'unico razzismo è quello dei liberal

Delirio del Washington Post: "Argentina razzista perché non ci sono calciatori neri"

Ha proprio Elon Musk a definire l'ideologia "woke" un virus che dev'essere sconfitto. L'ultimo delirante accusa, sintomatica di un'ideologia che scavalca il buon senso e ignora la storia, l'ha pubblicata il Washington Post nei confronti della nazionale Argentina di calcio. Erika Denise Edwards, autrice del libro "Hiding in Plain Sight: Black Women, the Law and the Making of a White Argentine Republic", nonché professore associato presso l'Università del Texas, a El Paso, si chiede come mai "l'Argentina non ha più giocatori di colore ai Mondiali?". Nel 2010, spiega Edwards, il governo argentino ha pubblicato un censimento che rilevava che 149.493 persone, molto meno dell'1 % del paese, erano nere. "Per molti, quei dati sembravano confermare che l'Argentina fosse davvero una nazione bianca. Ma circa 200.000 prigionieri africani sbarcarono sulle rive del Río de la Plata durante il periodo coloniale argentino e, alla fine del XVIII secolo, un terzo della popolazione era nera". In effetti, "non solo l'idea dell'Argentina come nazione bianca è imprecisa, ma parla chiaramente di una storia più lunga di 'cancellazione' dei neri al centro dell'autodefinizione del Paese".

L'ultima follia del Washington Post

Insomma, l'Argentina moderna sarebbe il frutto di un lungo progetto di sostituzione etnica ai danni dei neri. Una lettura storica del tutto parziale e basata sull'ideologia antirazzista imperante in molte università americane. Ma a giudicare dai commenti dei lettori del Washington Post, sembrano essere in pochi quelli che apprezzano una ricostruzione così partigiana e faziosa della storia dell'Argentina. Come nota infatti un utente, nell'articolo si menziona l'abolizione costituzionale della schiavitù nel 1853 ma non si cita un fatto molto importante, ovvero che l '"Assemblea dell'anno 1813", un'assemblea costituente, mise in moto la fine della schiavitù adottando la libertà dei grembi: ciò significava che i bambini nati da donne schiave erano nati liberi. Non esattamente un fatto irrilevante.

Questa norma è in vigore da allora e non è mai stata abolita in Argentina. La mancata menzione di questa importante disposizione mostra tutta la mancata obiettività dell'autrice e della sua ricostruzione. Va anche aggiunto che la Costituzione del 1853, la prima costituzione, dopo vari tentativi, in vigore Argentina, dichiara la libertà, secondo il testo della costituzione stessa, "dei pochi schiavi che esistono ancora". Inoltre, c'è un'altra questione che sembra sfuggire all'autrice dell'articolo: sebbene Buenos Aires fosse la "porta d'ingresso" per molti schiavi, questi ultimi erano destinati, in realtà, ai luoghi del nord dove venivano sfruttati nelle miniere, come l'attuale Bolivia o il Perù. La verità è che l'Argentina è stato un grande incrocio di razze ed è un paese in cui la popolazione generale non discrimina in base al colore della pelle. Molti argentini hanno origini europee e aborigene allo stesso tempo. Semplicemente, non si fanno castelli inutili su quanto sia scura o meno la pelle di Lautaro Martinez o di Lionel Messi.

Il razzismo liberal

Di fatto, l'unico vero razzismo sembra essere quello del Washington Post. Perché il colore della pelle di una nazionale di calcio dovrebbe far notizia? Questa forma mentis ultra-progressista è da ricondurre alla "Teoria critica della razza" nata in seno al mondo degli studiosi della New left americana degli anni ’70 e ’80 e agli studiosi di diritto e giurisprudenza afroamericani – come il defunto docente di Harvard Derrick Bell o Kimberlé Williams Crenshaw – e diventata oggi uno dei pilastri del politically correct e del pensiero postmodernista che circola nei campus americani e circoli più progressisti d’America. La teoria critica della razza, così come descritta dalla UCLA School of Public Affairs, "riconosce che il razzismo è radicato nel tessuto e nel sistema della società americana. Il razzismo istituzionale è pervasivo nella cultura dominante".

Ufficialmente, il movimento intellettuale che porta avanti tale teoria è nato in un seminario del 1989 guidato da Crenshaw, Neil Gotanda e Stephanie Phillips al St. Benedict Center di Madison, Wisconsin, anche se molte delle idee alla base della teoria critica della razza erano nate, come già accennato, nel decennio precedente. Se secondo Carl Schmitt, "la storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze di terra contro potenze marinare" e per Karl Marx la storia è fatta di una dialettica fra sfruttatori e oppressi, per i sostenitori della Critical race theory le questioni sociali, culturali e legali vanno affrontate in relazione alla razza e al razzismo.

Peccato che questa lettura politicamente correttissima faccia prendere delle cantonate clamorose, come nel caso del Washington Post.

Commenti