La cultura snobba l’addio a Di Stefano

Faceva freddo a Santa Maria Hoè. José Carreras aveva il colorito pallido per il vento che tagliava la piazza davanti alla chiesa. Ha firmato il libro, gli era accanto la moglie, è entrato tenendo basso il capo, in mezzo a una folla anonima che quasi non l’ha riconosciuto. Erano venuti apposta per salutare Pippo Di Stefano, l’ultimo giorno in mezzo alla sua gente, il popolo di Santa Maria, la prima moglie, Maria, la seconda, Monica, la figlia Floria, quasi in disparte, il figlio Pippetto, austero e di degnissima commozione e poi gli amici di Milano, Arturo Testa, compagno di musica e di zingarate in ogni dove, l’ex sovrintendente della Scala Carlo Fontana, il sindaco di Santa Maria Hoè, lui sì con la voce fragile nel discorso di memoria, il prefetto di Lecco al quale un vigile cortigiano voleva concedere il primo posto in prima fila spostando altrove i parenti. Nessun altro papavero delle istituzioni milanesi, né tanto meno Lissner a rappresentare la Scala.

Gli assenti, anche stavolta, non hanno avuto ragione. Pippo Di Stefano faceva bene ad evitare le riverenze, l’artista ha avuto il pregio di restare uomo e mai divo nel senso peggiore del termine. Gli altri, semmai, lo cercavano, profittando della sua generosità.

Ieri di lui si sono ricordati quelli che lo amavano davvero. A Santa Maria il silenzio di chi non c’era ha riempito la piazza. Anche per questo Giuseppe Di Stefano se ne è andato contento di avere vissuto. Non per loro.

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