Agee, il reporter trasgressivo oltre i limiti della letteratura

Gli articoli degli anni '30 sulla vita nel Sud degli Stati Uniti hanno l'acutezza del saggio e la profondità della poesia. Ma furono rifiutati dalla rivista per cui erano stati scritti

Agee, il reporter trasgressivo oltre i limiti della letteratura

Trasgressione. Questo è il grumo d'oro, il solido platonico della grande letteratura. James Agee era sdraiato sulla veranda di una casa in Florida, assediato dal sole, dalle premure della prima moglie, Olivia, circondato dai libri. Aveva appena scoperto la tellurica retorica di André Malraux, sul petto, inossidabile, William Blake, il suo dio personale. Un tizio irrompe nel bel mezzo della vacanza: «Signor Agee, la vogliono da New York». Cupa primavera del 1936: la rivista Fortune, fondata da Henry Luce, lo stesso di Time e di Life, l'inventore degli eleganti rotocalchi illustrati, ordina a James un servizio. Otto settimane pagate in Alabama per partorire un reportage sulla vita del Sud, una catabasi tra i fittavoli, immersione nelle desolate terre dei mezzadri.
Insieme a James Agee parte Walker Evans, raffinatissimo (e crudo) fotografo di Fortune. Proprio dal fotografo abbiamo un fermo immagine di James: «la voce era marcatamente calma e greve», «i vestiti che portava erano per scelta da poco prezzo», «era assai possente», ma «nel movimento era assai sgraziato», soprattutto, «i gesti erano quel che di lui era più memorabile. Sembrava che modellasse, che accarezzasse le sue frasi, mentre parlava, e ci lottasse». Il fotografo Evans, nella sua memoria del 1960, cinque anni dopo la morte di Agee, deceduto a 45 anni dopo l'ennesimo infarto, contiene altri due indizi interessanti: l'ossessione di Agee per la scrittura («Scriveva - con dedizione e incessantemente») e il fatto che per lui la scrittura fosse, in fondo, «una risoluta, privata ribellione». Soprattutto, contro il sistema editoriale, contro la storia della letteratura. Per questo, quando Fortune rifiuta di pubblicare un reportage che è, fin da subito, «un'impresa di esistenza umana in atto» (Agee), James fa ruggiti di gioia, si ripiglia i diritti sul testo, fa un accordo con Evans e cinque anni dopo pubblica il lavoro con un titolo roboante e biblico, Sia lode ora a uomini di fama.
Nel 1941, ben prima del decantato A sangue freddo di Truman Capote, assai meglio dell'algido new journalism forgiato sulla vanità di Tom Wolfe e di Norman Mailer e del gonzo journalism sgorgato dalle voglie di Hunter S. Thompson, la storia del giornalismo cambia pelle. Perché? Perché James Agee è un alchimista. Penetra le vite dei poveracci del Sud, dimora nelle loro catapecchie, fino a incatenarne l'anima. Usa tutti gli strumenti linguistici che ha in polso (il saggio e il poema, l'analisi economica e l'affondo lirico, il pezzo comico e lo sketch cinematografico) per compiere l'opera alchemica: instilla lo spirito di quegli uomini nella sua penna, nelle vene. Così, i banali fittavoli diventano personaggi altamente shakespeariani, il libro un trattato di morale che fa i conti, caoticamente, con il bene e con il male («In ogni bambino che nasce, non importa in quali condizioni e da quali genitori, rinasce la potenzialità del genere umano: e in lui, inoltre, ancora una volta, e da ciascuno di noi, la nostra responsabilità tremenda verso la vita umana; verso l'idea somma del bene, dell'orrore dell'errore, e di Dio»), l'opera, infine, qualcosa di assoluto e non replicabile, che ha a che fare con Moby Dick più che con i trionfalistici pensieri di un Hemingway qualsiasi o di un Saviano gonfio di buone intenzioni per un mondo migliore. Impubblicabile e immenso, James Agee, che tra scarponi e cappelli di paglia, bambini che sembrano ottuagenari, già colmi di agghiaccianti verità, e contorti residui umani, contadini dalle facce livide, cattive, animalesche (consustanziali al libro, le fotografie di Evans sono di nitida bellezza), scocca frasi abissali.
E la fama di James? Perduto tra «la disperazione e la dissipazione», inquinato dall'«indifferenza per la sorte dei propri manoscritti e lavori», «la contestazione del Potere» e «l'antintellettualismo» (così Massimo Bacigalupo), Agee pubblicò in vita poco o nulla, un libro di poesie (Permit Me Voyage, 1934), un meraviglioso romanzo breve (The Morning Watch, 1951, che William J. Rewak infila tra i grandissimi capolavori dell'adolescenza, insieme al Giovane Holden di Salinger e a Chiamalo sonno di Henry Roth), frattaglie varie. Onorato da un Premio Pulitzer postumo, nel 1958, per A Death in the Family, questo scrittore dissennato che elaborò progetti incompiuti in quantità magmatica (tra cui un «manifesto anticomunista» e «un nuovo tipo di libro sul sesso»), che diceva «se potessi non scriverei nulla» e che, alla voce «agitatori non pagati», si faceva accompagnare nelle notti letterarie da «William Blake, Louis-Ferdinand Céline, Gesù Cristo e Sigmund Freud», per guadagnare si diede al cinema. Adorava Charlie Chaplin, firmò per John Huston la sceneggiatura de La regina d'Africa (1951, con Humphrey Bogart e Katharine Hepburn) e per Charles Laughton La morte corre sul fiume (1955, con Robert Mitchum e Shelley Winters), e così, di passaggio, riuscì anche a imprimere un morso sulla storia del cinema.
E da noi? Questo titanico autore dal viso che ricorda un po' James Franco e un po' Christian Bale, non fa parte del giro giusto. Non era tra quelli amati dal duo Vittorini-Pavese (gli sproloqui epici di John Steinbeck o le ramanzine sociologiche di Theodore Dreiser e John Dos Passos) né tra gli sballati adorati da Fernanda Pivano (Ginsberg-Kerouac-Ferlinghetti) né tra i postmoderni neopop sdoganati da minimum fax (Donald Bathelme, Richard Yates, John Barth). Perché? Boh. Era un cristiano audace e uno scrittore violentemente prometeico. Morale: dobbiamo accontentarci della ristampa di Sia lode ora a uomini di fama (il Saggiatore, pagg.

446, euro 35), forse perché c'è la noterella di Furio Colombo che salva il tomo dal massacro editoriale. Il resto, semplicemente, non c'è (il mirabile editore SE ha pubblicato nel 2000 La veglia all'alba), tocca sventrare le librerie antiquarie.

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