Storia d'assalto

La storia segreta della guerra in Friuli

La storia del piccolo e fugace "regno" dei cosacchi creato dai nazisti in Carnia è una delle più singolari tra quelle della seconda guerra mondiale

Cosacchi, nazisti, partigiani: la storia segreta della guerra in Friuli

Nei mesi in cui il nazifascismo si avviava al suo crepuscolo e in Italia si preparava la definitiva caduta delle armate tedesche, una delle meno note e più interessanti operazioni mai tentate dalla Germania nazionalsocialista per consolidare il suo traballante dominio ebbe luogo nel cuore della Carnia prossima ad essere divisa tra l'Italia postbellica e la Jugoslavia, ed ebbe protagonisti i militari cosacchi che durante l'invasione dell'Unione Sovietica avevano scelto di stare con Berlino.

Tra il luglio 1944 e il maggio 1945 un'unità di SS di etnia cosacca, il XV. SS-Kosakken Kavalerie Korps, fu installato nelle regioni di confine dell'Italia nord-orientale annesse dal Reich dopo la resa di Roma agli Alleati e inquadrate nella Zona di operazioni del Litorale Adriatico. Dislocati per la lotta anti-partigiana, i cosacchi ebbero la possibilità di creare un insediamento ad immagine e somiglianza delle loro istituzioni tradizionali dal comando tedesco in Italia, dal Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer e dal Comandante superiore delle SS e della polizia di Trieste, Odilo Globočnik, il "boia di Lublino" che fu il pianificatore della realizzazione dei campi di sterminio di Belzec, Sobibor, Treblinka, in cui oltre un milioni e mezzo di prigionieri, in larga parte ebrei e zingari, furono uccisi nelle camere a gas o morirono di stenti.

Come mai il Reich pericolante accettò l'insediamento dei cosacchi, una popolazione di stirpe orientali ritenuta "inferiore" dalla narrazione propagandistica nazista, in una zona di diretta amministrazione da parte dello Stato tedesco, a due passi dall'Austria? Le motivazioni furono prettamente militari. Tra il 2 e il 9 ottobre 1943, nel pieno del tentativo tedesco di posizionarsi nell'Italia divisa dopo l'armistizio dell'8 settembre precedente, il Terzo Reich lanciò nel Nord-Est della penisola una dura operazione antipartigiana denominata Operazione Nubifragio. L'obiettivo era consolidare il controllo della regione, da Udine a Pola passando per Trieste, e le truppe del generale Paul Hausser, comandante del II SS-Panzerkorps in Italia settentrionale, si scontrarono duramente con i partigiani titini che impegnavano i tedeschi in un duello asimmetrico altamente logorante.

La parallela pressione esercitata dagli Alleati in Italia centro-meridionale a Montecassino, l'avanzata sovietica a Est e le minacce del secondo fronte sul litorale francese portarono l'alto comando germanico a sfruttare con crescente intensità le truppe straniere alleatesi sotto le bandiere del Terzo Reich nella "crociata antibolscevica" del 1941 o attratte dalla retorica paneuropea con cui Berlino celava le ambizioni di dominio del governo nazista. Tra questi spiccavano i cosacchi del Don, del Kuban e del Terek a cui nel novembre 1943 un proclama ufficiale firmato dal Ministro dei territori occupati Alfred Rosenberg e del comandante della Wehrmacht Wilhelm Keitel prometteva concessioni territoriali dopo la fine della guerra in cambio di un arruolamento sotto i vessilli con la svastica. Larga parte di questi territori erano ormai tornati sotto il controllo dell'Armata Rossa di Stalin, dunque i cosacchi furono dirottati verso le pianure della Carnia attraverso l'Operazione Ataman, che nell'estate 1944 consentì di dislocare 22mila cosacchi e 4mila persone di etnia caucasica, per un totale di 11mila uomini combattenti assieme ai loro famigliari, vicino al confine italo-jugoslavo antbellico.

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Contro i partigiani comunisti di Tito, i nazisti schierarono un'unità militare formata da alcuni tra i più irriducibili avversari del bolscevismo sovietico. I soldati dai lineamenti caucasici con giubbe e caftani mai visti prima in Carnia, che portavano sul capo colbacchi con l’aquila e la croce uncinata nazista affiancata Šaška, la sciabola della Russia asiatica, miravano a far rivivere l'onore militare degli antichi cosacchi dello Zar, i più fedeli combattenti al servizio dell'Impero della Terza Roma caduto nel 1917. Come ricorda Pier Arrigo Carnier ne L’armata cosacca in Italia, i cosacchi ebbero il loro nuovo "atamano" nel comandante, Pëtr Nikolaevič Krasnov, il loro nuovo Don nel Piave e nel Tagliamento tornati a essere teatro di guerra, Tolmezzo come "castro pretorio" in cui insediare le loro autorità. Le città furono ribattezzate con foggia cosacca: Alesso fu ribattezzata in Novočerkassk, Trasaghis in Novorossijsk, Cavazzo in Krasnodar. Era di fatto nata la Kosakenland in Nord Italie.

Dato che, come riporta Patria Indipendente, "il contingente si articolava in due gruppi etnici distinti, caratterizzati da diverse tradizioni, usi e religione (la maggior parte dei cosacchi era cristiana ortodossa mentre molti caucasici erano musulmani), l’occupazione si articolò in due principali zone; la parte settentrionale della Carnia fu gestita dai caucasici del generale Sultan Ghirey-Kitsch, la parte meridionale fu occupata dai soldati cosacchi agli ordini dell’atamano Domanov". Da Berlino Krasnov coordinava le attività e, dal febbraio 1945, fu presente sul campo fino alla fine delle ostilità. Inoltre "Con i militari giunse un gran numero di cavalli ed anche una ventina di cammelli. I cosacchi appartenevano a estrazioni sociali e culturali diverse, ma si dimostrarono gelosi e fieri delle proprie tradizioni e non mancarono di esibire il loro caratteristico spirito d’avventura e l’atteggiamento guerresco".

Nel quadro dell'impegno militare a fianco dei tedeschi l'8 ottobre 1944 i cosacchi parteciparono all’operazione Waldläufer contro la Repubblica partigiana della Carnia, dando sfoggio di brutalità nelle repressioni e di grande audacia sul campo di battaglia. I cosacchi si resero protagonisti delle ultime operazioni militari ai margini del fronte italiano e jugoslavo della seconda guerra mondiale, anche al di fuori della loro "piccola patria". A inizio 1945 li si sarebbe ritrovati a fianco delle armate tedesche impegnate nell'ultimo contrattacco al confine tra Serbia e Ungheria, l'offensiva nella zona del Lago Balaton che fu l'equivalente orientale della battaglia delle Ardenne, il colpo di coda finale con cui Hitler tentò di arrestare l'avanzata nemica. Per i cosacchi combattere con decisione era una questione di vita o di morte: Krasnov era ben consapevole del destino che sarebbe stato riservato loro in caso di resa ai sovietici e fece perciò di tutti, nelle settimane in cui la crisi del Reich si faceva irreversibile, per alzare bandiera bianca di fronte agli Alleati occidentali. A maggio del 1945, i cosacchi, accampati nel lato austriaco della Val Pusteria, depongono le armi di fronte agli inglesi ignari del fatto che, alla conferenza di Yalta, Winston Churchill e Stalin hanno già concordato la loro restituzione alla potenza socialista. Per molti dei cosacchi della Carnia la destinazione finale fu la morte per fucilazione o una lunga prigionia nei gulag di Stalin, una ferita che brucia ancora oggi nel ricordo di una tragica avventura che vide i cosacchi vittime due volte. Dapprima, delle illusorie promesse del Reich sul viale del tramonto; in seguito, del regolamento di conti contro i collaborazionisti seguito alla vittoria dell'Unione Sovietica.

Ma nel ricordo degli abitanti della Carnia restò a lungo, piccola storia nella grande tragedia dell'ultimo conflitto mondiale, la memoria dell'esperimento di "colonizzazione" tentato dai duri e valorosi guerrieri provenienti dall'Oriente.

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