N el cosiddetto «complotto Slansky» del 1952, con il quale in Cecoslovacchia Stalin eliminò la vecchia guardia comunista sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale, fra le tante confessioni manipolate e teleguidate prodotte nel processo-farsa allestito per l'occasione, fece scalpore quella di Otto Katz. Negli anni Trenta Katz era stato, sotto vari pseudonimi e identità, la spia per eccellenza del Cremlino nella versione glamour del combattente per la democrazia. Bon vivant e seduttore, di casa a New York come a Parigi, è sulla sua figura e sulla sua attività di paladino della libertà che Hollywood modellerà quella di Victor Lazslo nel film Casablanca.
Divenuto traditore per decreto del Cremlino, fra le sue tante colpe Katz ammise anche quella di agente segreto di Sua Maestà britannica, il che naturalmente era falso. L'arruolamento, aggiunse, era avvenuto a Parigi, dove l'attore, commediografo e compositore Noël Coward fungeva da agente di collegamento. Il che però era vero.
Allora cinquantatreenne, Coward era stato fra le due guerre il trionfatore delle scene di Londra e di Broadway, l'emblema di quello stile d'oltremanica fatto di leggerezza e grazia, ironia e savoir vivre che alla Seconda guerra mondiale non era sopravvissuto se non in lui, ultimo testimone di un'epoca irripetibile. Di lì a poco, i «giovani arrabbiati» avrebbero rivoluzionato il teatro inglese, «le commedie da lavandino di cucina», come lui le chiamerà con disprezzo, problemi economici lo avrebbero costretto a un esilio verso lidi fiscali meno esosi e insomma, come più tardi metterà in note in Sail away, «Quando senti che la tua musica è suonata male/ a che serve restare?/ Prendi il largo, prendi il largo, prendi il largo!» Di tutto, dunque, aveva bisogno per riemergere artisticamente, tranne di uno scandalo da guerra fredda. «Volevo replicare alla stampa che essendo stato di recente dal dentista, le mie labbra erano cucite» scrisse nei Diari. Poi, in un'intervista al Manchester Guardian, definì «l'intera vicenda assolutamente ridicola, se non fosse così disperatamente triste». «Non sono mai stato nell'Intelligence Serice» concluse. Era una bugia, ma avendo giurato a suo tempo di mantenere il segreto, non poteva ancora dire la verità. Aveva taciuto anche quando, a partire dal 1939, la stampa britannica più popolare e più sciovinista aveva preso a malignare crudelmente sui suoi viaggi negli States, in Russia, in Francia e in Sud America: c'era chi combatteva e chi, sempre abbronzato, si dava alle feste in giro per il mondo
Poche vite come quelle di Coward sono state così piene, allegre e insieme complicate, vissute sotto i riflettori e tenute in ombra quanto a sentimenti, amori, preoccupazioni. L'uscita di Pomp and Circumstance (Il viaggio della regina, Elliot editore, traduzione di Daria Menicanti, pagg. 317, euro 17,50; esiste un'edizione Garzanti del 1980, Amore e etichetta), unico suo romanzo, è l'occasione per provare a ripercorrere l'esistenza di un autore da noi purtroppo pressoché sconosciuto.
Ambientato in un'isola immaginaria del Pacifico (in realtà la Giamaica dove Coward visse e morì), Samolo, protettorato britannico, nel Viaggio della regina c'è il miglior Coward delle commedie. Tutti i tic, i tabù, le bizzarrie, le smanie e le manie dell'upper class britannica in patria e oltremare sfilano nelle sue pagine, nell'attesa che l'arrivo di Elisabetta e del suo augusto consorte si concretizzi. Questioni di etichetta si mischiano a questioni sentimentali, preparativi per i festeggiamenti si incrociano con problemi logistici e caratteriali, vecchi e nuovi rancori si trasformano in miscele esplosive, eterni sogni di gloria sociale cedono il passo di fronte a incapacità, megalomania, stupidità. Il tono disinvolto e scanzonato di Coward lega il tutto con dialoghi scintillanti, ritratti psicologici e fisici esemplari, l'understatement di chi, pur amando fieramente il proprio Paese, non farà altro che sfuggigli per tutta la vita.
Quintessenza del British Style, Coward si sentì sempre a disagio nella nazione che gli aveva dato i natali: era omosessuale, ma non lo poteva ammettere, la censura gli sforbiciava le commedie perché contrarie al perbenismo dominante, ufficialmente era un talento brillante, ma non uno scrittore di cui il Regno potesse andare fiero
Visse negli Stati Uniti, a Bermuda, in Svizzera e in Giamaica, incarnando abroad, all'estero, quel gentleman che in patria il pubblico applaudiva, ma le autorità avevano in sospetto
È anche per questo che le sue commedie ebbero tanto successo: da Vortice a Cavalcata, da Vite private a Spirito allegro, mettevano in scena conversazioni leggere e spiritose ed esistenze esemplari e seducenti insieme con i soprassalti e le novità di un'epoca: le droghe e il jazz, la promiscuità sessuale e gli strappi alla morale consolidata, le solitudini esistenziali mascherate dietro un martini ben ghiacciato, un party ben riuscito
Ciò che nel Viaggio della regina fa da scenario, cocktail, riunioni, mondanità, amori e protocollo di una piccola isola che scimmiotta la madre patria, nelle Letters, uscite qualche anno fa, risplende nella luminosità di una vita vissuta di corsa. George Gershwin suona il piano a casa sua, si va a cena con Antony Eden e Gary Cooper, si è vicini di casa di Chaplin e di Graham Greene, si prende l'aperitivo con Lord Mountbatten e il duca di Kent, ci si incontra da Frank Sinatra e Lauren Bacall. E, soprattutto, si scrive. Vite private (ancor oggi periodicamente in scena a Londra ottant'anni dopo la prima) fu buttata giù in quattro giorni, Hay Fever in tre, una delle sue più belle canzoni, I'll see you again, in un taxi imbottigliato a Manhattan
I suoi «amici di penna» sono Bernard Shaw, Virginia Woolf, Greta Garbo, Daphne Du Maurier, Somerset Maugham, Marlene Dietrich.
In questa esistenza di viaggi -treni, aerei, piroscafi- e di bauli di viaggi, di alberghi (Claridge, Raffles, Waldorf, Ritz) e di weekend (La Costa Azzurra e Capri, Shangai e Singapore), di cui Travel and Travellers darà in versi una divertente versione, ci sarà anche posto, come detto prima, per lo spionaggio al servizio del proprio Paese, tanto più prezioso proprio perché inconcepibile a petto della sua immagine pubblica di uomo di mondo chiacchierato e per questo severamente biasimato da chi contava. L'emblema, se si vuole, di un Novecento in cui l'apparenza e la sostanza, il bene e il male, non erano poi di così facile individuazione.
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