Cultura e Spettacoli

Un Dio "fuorilegge" che dà scacco al potere e alle nostre certezze

Gesù visto dai nemici. Nei suoi testi teatrali Luca Doninelli ritrae Cristo attraverso le voci di chi lo condanna

Un Dio "fuorilegge" che dà scacco al potere e alle nostre certezze

Lui, Gesù, non c'è. Eppure è ovunque e per sempre. Leggendo le opere teatrali di Luca Doninelli possiamo azzardare un ritratto attraverso le parole di chi lo volle crocifiggere (La Passione secondo i nemici e altri testi teatrali, Edizioni Ares, pagg. 144, euro 15).

Dalle parole di Pilato, possiamo dedurre che Cristo non piace ai burocrati, a chi, come il procuratore dell'Impero romano, ha una mente «piena di stanze, scale, corridoi, colonnati, fiaccole dal fumo nero, usci, polvere». La morte del nazareno è indispensabile per «far andare le cose come sono sempre andate» e «far funzionare bene la macchina». Mettere le cose a posto, non turbare gli equilibri della terra di Palestina occupata, concedere la vendetta e ricondurre alla quiete una società pronta a esplodere. Dalle parole di Erode, una straordinaria cavalcata senza punteggiatura, con un senso del ritmo alla Céline (e alla Testori), capiamo che Cristo non è adatto agli uomini immersi nel nichilismo, uomini che devono consumare tutte le divinità, tutte le idee e tutti i piaceri, uno via l'altro, senza concedere alla propria coscienza, spesso impegnata in sciocchezze, l'attimo del risveglio. Dalle parole di Caifa, apprendiamo che Gesù è indigesto ai politicanti, ai fautori fanatici della Legge come mezzo di esclusione e oppressione. Cristo mette in discussione il potere, e questo non può essere accettato. Pilato, Erode e Caifa hanno capito benissimo chi fosse quel nazareno: era il figlio di Dio, ma hanno preferito fingere di non aver visto. Sarebbe stata cosa troppo dura mettersi davanti allo specchio, per una volta, in modo sincero. La Passione secondo i nemici è dunque l'insieme di questi monologhi, e alcune spie linguistiche ci dicono che la storia si ripete tutti i giorni. Altrimenti Erode non armeggerebbe con una radio e Caifa non citerebbe Shakespeare.

Il sogno di Giuseppe è la storia dell'Annunciazione raccontata dall'arcangelo Gabriele. Il falegname accetta, con fede, l'irrompere dell'imprevisto e dell'impossibile nella sua vita. Sa che presto gireranno chiacchiere su Maria, ma decide di proteggerla. Dio ha deciso di entrare nella storia attraverso lo scandalo, di agire da fuorilegge, contro la Legge per salvare la Legge. L'arcangelo si stupisce del modo in cui Giuseppe si prende cura dell'oggetto che sta levigando: una croce, ottenuta da un pezzo di legno gettato via. E Dio stesso gli spiega: «Io e il mio figlio lo conosciamo bene, perché anche a lui, e a me con lui, toccherà la stessa sorte toccata a quel legno. Dovremo essere gettati via affinché il mondo possa essere di nuovo salvo». Questo è il destino di Dio: «Così ho voluto: di non poter essere felice - io che sono l'Onnipotente - finché l'ultima delle mie creature non sarà qui al mio banchetto».

No Lucifero no party. La festa non sarebbe completa se non partecipasse anche il diavolo, protagonista del monologo Il mormorio del vento. Innanzi tutto il diavolo è un tipo davvero simpatico, un po' modaiolo, ben vestito, molto curato. La sua passione è dividere, non sopporta il popolo, la tradizione, le radici: «Tutto ciò che è comunità al mio naso fine puzza di retorica. Io amo parlare con gli uomini soli». A ognuno di noi regala un piccolo dio al quale dedicare il nostro tempo, per uno sarà il successo, per un altro la lussuria. L'importante è imprigionarci con i nostri stessi desideri ed evitare che ci mettiamo ad assecondare la sete di infinito nascosta in ognuno di noi. Il piccolo dio serve a impedirci di guardare quello vero. Divide et impera. Il piccolo dio più ambito dagli uomini è il potere, e il diavolo sa come funziona, è un esperto del ramo. Con il potere esclude, crea fazioni, scatena guerre. Se c'è una persona che Lucifero non può sopportare è il profeta Elia. Un uomo rozzo, bipolare, sanguinario perfino. Al diavolo piacciono le persone educate, pulite, profumate, dai modi cortesi, quelle che aprono la porta e ti lasciano passare per primo tuttavia non riesce a capire perché Elia faccia parte della squadra di Dio e non di quella infernale. Mentre parla, Lucifero è impegnato in una eterna partita a scacchi con Dio. E perde sempre. Dio è un fantasista, Lucifero non riesce a prevedere le sue mosse. Elia è uno scacco matto alla prevedibilità del gioco diabolico.

Scacco matto dà anche Maryam, un dramma a più voci dove i fedeli musulmani si rivolgono a Maria, che ha una ricca tradizione anche nell'islam. Ascoltiamo storie terribili: il matrimonio concordato, la violenza sulle donne, la scellerata scelta di un kamikaze, la morte di un adolescente naufrago in rotta verso il nostro mondo, sui maledetti gommoni. Maryam ascolta tutto e racconta, a sua volta, la sua tragedia: assistere impotente alla morte del figlio sulla Croce. Se Dio fosse intervenuto, sarebbe diventato impossibile amarsi veramente: «Beata lei. Questo direste di me, ma senza amore. Invece voi mi amate e io vi amo. Di un amore sconosciuto ai macellai e ai becchini, ai sommi sacerdoti e ai procuratori generali. Questa fu l'opera di Dio fin dal primo istante della creazione: non fare le montagne, le stelle, il sole o gli oceani, ma generare l'amore. Solo la sua debolezza poté compiere l'impresa». Il lettore resta con una domanda senza risposta: come si concilia questa debolezza con la sottomissione richiesta dall'islam? Le opere teatrali di Doninelli ne suscitano molte altre. La debolezza si rovescia nel suo opposto e diventa una forza inarrestabile ma noi siamo pronti a lasciarci travolgere? Una questione centrale aleggia su questi testi: tutti sappiamo dire cosa vorremmo essere ma Gesù ci rivela chi siamo, e la cosa potrebbe anche non piacerci o farci paura.

In fondo lo scatto matto più importante è quello alle nostre rassicuranti «certezze».

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