Il partito rosso cola a picco Solo un pazzo può salvarlo

Nel «Trono vuoto» di Andò, il leader fugge di fronte al fallimento Per fortuna ha un gemello geniale, appena uscito dal... manicomio

Il partito rosso cola a picco  Solo un pazzo può salvarlo

Enrico Oliveri,il segretario del maggior partito d’opposizione è sparito nel nulla, lasciando la sinistra italiana al suo destino inevitabile: la frammentazione, l’agonia e infine la scomparsa. Ci vorrebbe un miracolo. Oppure un trucco da prestigiatore. Accade proprio questo nel romanzo Il trono vuoto (Bompiani, pagg. 233, euro 17), esordio del regista palermitano Roberto Andò, che di recente ha messo in scena il corrosivo dramma Il dio della carneficina (Adelphi) di Yasmina Reza. Il fratello gemello del segretario, un filosofo geniale ma afflitto da depressione bipolare, viene reclutato da uno spin doctor un attimo prima della dissoluzione del partito in una miriade di correnti in lotta tra loro. Inaspettatamente, il falso segretario si rivela un genio della comunicazione proprio perché non se ne cura minimamente: dichiara senza troppi giri di parole quali obiettivi si pone, scarica alleati sanguisughe, prende a pesci in faccia il governo, si concede perfino attimi di poesia, recitando alla platea allibita non il solito comizio ma versi di Bertolt Brecht. Il partito risale nei sondaggi. Il falso segretario cede il passo a quello vero, nel frattempo rinfrancatosi grazie a un tuffo nel passato, e finalmente le urne sanciscono una vittoria attesa da anni.

Il partito, è chiaro anche se l’autore mai lo nomina esplicitamente, è quello Democratico. Il segretario in fuga dalle responsabilità della politica è invece un mix tra Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni. Del primo ha l’aria assorta che riflette una perenne indecisione. Del secondo le velleità artistiche, abbandonate dopo le prime esperienze cinematografiche. Ma ci sono anche «tracce» di Enrico Berlinguer, Achille Occhetto e Dario Franceschini. Dopo tonnellate di romanzetti su Silvio Berlusconi, ecco il primo romanzone, almeno nelle aspirazioni, sulla crisi della sinistra, della leadership e della politica in generale.

Andò usa molto bastone e poca carota. Il partito è soffocato da miserabili beghe interne, il maggior artefice delle quali è lo stratega Maletti, in cui qualcuno scorgerà il profilo di Massimo D’Alema. Le battaglie in favore dei lavoratori sono state progressivamente annacquate e quasi nascoste con vergogna come se la sinistra avesse paura di ricordare a tutti, a se stessa in primis, la propria ragione di esistere. I bizantinismi hanno imposto la creazione di cartelli elettorali assurdi, sempre sbilanciati verso il centro: al posto del consenso, cercato nelle piazze, ci sono le alleanze, mercanteggiate alla Camera e al Senato. Il «piano» della sinistra, insomma, non esiste più perché «ha da tempo ingoiato le sue finalità» e non prevede «più alcuna corrispondenza tra il respiro degli uomini, delle donne, dei bambini, degli asini, delle mosche, e il progettato, pianificato dispiegarsi del supposto progresso civile». I leader sono offuscati dal sospetto reciproco, pongono insensati veti alle idee altrui, si perdono nel vagheggiamento di «astratte e irrealizzabili alchimie sociali, per non scontentare, non allarme, non provocare». Il falso segretario sovverte questa realtà meschina e rimette al centro una idea di sviluppo alternativa al mercato, oltre all’orgoglio di rappresentare la parte (un tempo?) migliore del Paese.

E qui veniamo alla carota che segue le bastonate. Il libro infatti è assai critico ma non esce dal recinto della sinistra vagamente girotondina. Alla sinistra, Andò concede la possibilità del riscatto finale; alla destra, concede di esistere solo in una versione volgare e arraffona, da inserto satirico. Peccato. Una visione meno stereotipata e «caimanesca» avrebbe senz’altro arricchito il libro.

Passare dalla lettura de Il trono vuoto alle pagine dei quotidiani provoca comunque uno strano effetto. Nel romanzo, il partito ritrova una guida e vince le elezioni. Nella realtà, Bersani, alla caduta di Berlusconi, pur tentato dalle urne, ha preferito far digerire alla sua «base» un governo di tecnici. Le scelte del nuovo premier, Mario Monti, in materia di lavoro e mercato, si sono rivelate lontane da quelle della sinistra, costretta ora a una difficile arrampicata sugli specchi per tenere insieme sostegno parlamentare all’esecutivo e consenso nel Paese. «La barbarie di oggi è fondata su calcolo e profitto. È tecnico-economica»: sono le parole-manifesto con cui, nel libro, il segretario galvanizza i suoi militanti.

Bersani invece si è trovato a sostenere il «calcolo» e il «profitto» che a molti suoi elettori sembrano, appunto, una «barbarie».

Ancora una volta, come recita il luogo comune, la realtà ha superato la finzione: il trono non è mai sembrato così vuoto.

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