di Nicola Crocetti
Ed ecco già qui l'autunno. I muscoli
dei rami degli alberi che si scuotono
per le raffiche del vento, come se l'un l'altro
si dessero la colpa
della caduta della prima foglia...
Là sotto gli uomini, benché puntuali,
preferiscono allungare la strada, affinché
dove c'è abitudine ci sia
anche sorpresa, salvo che
privilegino la menzogna
che non ha proprio niente da fare.
E voi, mia fiamma d'altri tempi,
vi ricordate di voi stessa, ancora,
e dunque dell'amore?
(Traduzione di Vlasta Fesslová)
Come disse il suo editore Vladimír Justl, Vladimír Holan «nacque poeta, non lo diventò per sua volontà». Scrivere versi, per lui, era una «sorte pesante», un destino che lo accompagnò per tutta la vita. Nato nel 1905 a Praga, pubblica giovanissimo la prima raccolta, Il ventaglio farnetico, subito ripudiata, cui ne seguono numerose altre, alcune d'ispirazione politica. Dopo la catastrofe della guerra, riesce a realizzare la sua ambizione di un isolamento totale, di una profonda solitudine che gli consenta di fare «la guardia notturna del cuore». Quando il Partito comunista prende il potere, viene accusato di «formalismo decadente», e dal '48 al '63 lui e la sua opera sono ostracizzati. Holan risponde chiudendosi (muro contro muro, dice) nella sua casa sull'isola di Kampa, nel cuore di Praga, da cui non esce quasi mai, vivendo di notte.
Autorecluso per 30 anni, traduce e scrive instancabilmente: quasi settemila versi oscuri e simbolici, cristallini e barocchi, pieni di contrasti, in una sorta di armoniosa disarmonia. Il vertice della sua poesia è Una notte con Amleto, riflessione e testimonianza sulle tragedie storiche e il destino dell'uomo, sul senso della vita e la libertà, con cui si afferma come il più grande poeta cecoslovacco contemporaneo e uno dei maggiori del Novecento. Anche dal suo isolamento, continua a dialogare col mondo e con gli uomini, come nel diario in versi Dolore. Nel 1963 viene riabilitato, e per la Cecoslovacchia diventa un mito vivente.
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