Dai misteri di Giorgione alla "violenza" di Tiziano

Così cambia la rappresentazione della Natura nella storia dell'arte: ogni Maestro la vive a suo modo

Dai misteri di Giorgione alla "violenza" di Tiziano

Di Giorgione tutti conoscono La tempesta. Meno Il tramonto della National Gallery di Londra, dipinto tra il 1501 e il 1505.

Il supposto mistero della Tempesta, che mistero non è, perché rappresenta esattamente quello che dichiara, cioè una lampo nel cielo, si svela pienamente in questo dipinto di pochi anni prima. Un meraviglioso paesaggio indorato dal tramonto, una roccia minacciosa bagnata di luce serotina.

Compaiono due uomini in un rapporto di fraternità, uno sta curando la ferita dell'altro, in un paesaggio luminoso e numinoso, che va verso un fondo azzurro. A destra c'è una montagna dentro la quale si muove un San Giorgio e il drago che sono in realtà un'invenzione del restauratore. Nel dipinto originale non c'è: così il restauratore ha pensato di fare questa kalìa, questo divertimento. La montagna parla, è una montagna che ha una sua propria forza espressiva, e in questa magia Giorgione ci indica qualche cosa che non è soltanto un paesaggio da vedere, ma un paesaggio animato, pieno di mistero, pieno di segreti, pieno di qualcosa di nascosto. Giorgione va oltre Bellini, destabilizza il mirabile equilibrio del grande Maestro, rende marginale l'uomo e fa sentire il grande mistero della natura. Tutto questo ci dice la montagna al tramonto in questo dipinto.

Un altro pittore veneziano, intorno al 1510, è Cima da Conegliano. Il suo San Gerolamo, databile fra il 1500 e il 1510, conservato sempre nella National Gallery di Londra, si slancia nella penitenza in una natura riarsa, mentre il leone lo guarda torvo e severo, partecipando alla scena penitenziale. È una montagna vicina al pittore, dipinta con uno sguardo realistico. È una quinta di montagna come quella che aggettava nel Tramonto di Giorgione, e, sul fondo, si scorgono montagne ghiacciate, evidentemente le Dolomiti. Non c'è il senso del numinoso della natura che c'è in Giorgione, c'è più l'equilibrio di Bellini.

Il paesaggio montano per Cima da Conegliano è una necessità: è il paesaggio della memoria, della vita, della propria esperienza quotidiana. Ma non è decoro, solo paesaggio: partecipa alla narrazione, le dona il timbro, la serietà, il carattere penitenziale.

Di Giorgione, morto giovanissimo, c'è rimasta più leggenda che opere certe, dalle quali si può comunque intuire come la sua fama di eccezionale innovatore fosse perfettamente giustificata.

Di Tiziano, massimo allievo di Giorgione, c'è rimasto invece molto, distribuito in una delle carriere più lunghe e formidabili che la storia dell'arte abbia mai avuto. Ci soffermeremo su due sue opere, una degli inizi della sua attività e un'opera tarda.

Gli affreschi dei Miracoli di Sant'Antonio alla Scuola del Santo (1510-1511), a Padova, sono il primo capolavoro di Tiziano. Egli non è l'unico pittore a decorare la sala priorale della "Scoletta", sede di un'arciconfraternita antoniana; prima e insieme a lui, vi avevano lavorato Gerolamo del Santo, Montagna, Campagnola, Frangipani, Corona. Ottimi pittori, di eredità belliniana, ma in confronto al giovane Tiziano, poco più che ventenne, sembrano appartenere al vecchio secolo.

Tre sono le scene lasciate da Tiziano nella Scuola del Santo, il Miracolo del neonato che riconosce il padre, il Marito geloso, il Miracolo del piede risanato. Nel miracolo del neonato, un bimbo pronuncia il nome di colui che negava la sua paternità e accusava la madre di adulterio. In quello del piede risanato, il miracolato ottiene la guarigione del piede che si era tagliato in segno di punizione, avendo scalciato la madre.

Erano alcuni degli episodi più noti della vita di Sant'Antonio da Padova. Entrambi erano stati rappresentati da Donatello nei bassorilievi in "stiacciato" dell'Altare del Santo (ca. 1446-50), opera fondamentale del Quattrocento padovano che aveva contribuito enormemente a diffondere la nuova maniera toscana nell'area padana.

Tiziano non poteva non guardare all'esempio di Donatello, derivando da esso la disposizione in primo piano dei recitanti, che coprono, in lunghezza, tutto lo specchio della scena. Nuova è la vivacità del colore, si impreziosiscono i costumi, si arricchisce la varietà delle pose, e, soprattutto, s'inspessisce il rapporto con lo spazio retrostante, naturalistico, che ispira passione.

Ma è nell'episodio del Marito geloso, non fra i più noti della vita di Sant'Antonio, che Tiziano ha modo di dipingere come nessuno aveva fatto prima, dopo una fase di preparazione che viene testimoniata anche da un celebre disegno. Il miracolo di Antonio che risana una donna, pugnalata dal marito geloso, è appena alluso nella parte alta dell'affresco, quasi nascosto. Al centro della scena sta ciò che lo aveva preceduto, e cioè un momento di altissima concitazione, con il marito che, travolto dal sospetto, ha già inferto una pugnalata alla moglie, invocante pietà. E anzi è pronto a sferrare un nuovo colpo, che potrebbe essere fatale, se non arrivasse il provvidenziale rinsavimento. Tiziano fotografa l'istante di un femminicidio, in un perfetto meccanismo di blocco fotografico, che parte dal braccio armato del marito e arriva, secondo la direzione indicata dalle strisce della sua veste militare, fino alle gambe incrociate della donna, coperte da uno splendido panneggio. Una frazione di secondo dopo, qualche millimetro in meno fra il pugnale e la mano della moglie che vorrebbe fermarlo, e tutta la tensione omicida sarebbe esplosa senza controllo. Un miracolo nel miracolo che ci rapisce, coinvolgendoci completamente nella suspense della scena.

L'equilibrato sentimento della natura di Bellini e Cima, ma anche la natura misteriosa di Giorgione, sono diventati, in Tiziano, passione pura, umanissima, che chiama altra passione in chi la osserva. C'è odio, violenza, tradotti in colore. E non ci potevano essere colli verdeggianti, paesaggi lontananti come in Cima o Bellini, ma solo una roccia, nuda, che incombe, chiude lo spazio, nasconde il delitto alla vista di altri se non dello spettatore, rende la scena claustrofobica e la morte certa, nonostante il miracolo stia per avvenire, o sia avvenuto, per compiacenza al committente. Non c'è niente di sacro in questa umanissima montagna, avvolta da un cielo grigio, e appena toccata da arbusti in bilico, anch'essi sul punto di cadere. È un nuovo, sensazionale modo d'intendere la pittura, l'umanità delle passioni, il rapporto con la natura e la montagna.

Questo vortice accompagnerà Tiziano lungo tutto il suo percorso pittorico, e deflagrerà nei dipinti degli ultimi anni, come nel Ratto d'Europa, del Museo di Boston. È una scena di erotismo divino, in cui Europa, rapita da Zeus in forma di Toro, apre le gambe quasi in un orgasmo, pronta a riceverlo. La scena accade in un paesaggio che è, di nuovo, il luogo del delitto.

Anche qui si vedono le montagne, le montagne sfocate, le montagne rarefatte sul fondo, sempre un ricordo di un luogo della memoria che diventa per il pittore necessario come lo spazio dove può accadere qualche cosa di mitico e violento. Paesaggio come teatro di una passione. Non solo narrazione, ma umori. La natura patisce.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica