
La prima evidenza delle isole è che non puoi battertele a piedi. Onde, vento, maree, squali... Devi trovare una nave, un aereo, almeno una zattera. Senza, ti tocca correre in cerchio come un cane idrofobo. L'isola protegge ma contemporaneamente espone. Solida ma immersa nell'instabile, l'isola cortocircuita forze opposte: è rifugio e minaccia, libertà e prigione. Questo ne fa ovviamente un microcosmo perfetto per la letteratura. Per usare le parole della scrittrice Agatha Christie: "C'era qualcosa di magico in un'isola: bastava quella parola a eccitare la fantasia. Si perdeva il contatto col resto del mondo, perché un'isola era un piccolo mondo a sé. Un mondo, forse, dal quale si poteva non tornare indietro".
Ecco allora che libro e isola vanno a braccetto. Per scoprirlo niente di meglio di Ai confini del mondo. Storie da isole lontane (il Mulino, pagg. 300, euro 18) a firma di Marco Lupis. Lupis è un reporter vecchio stile, di quelli che macinano chilometri e miglia nautiche, che non si fanno problemi a passare un sacco di tempo su una nave postale per approdare a Pitcairn, nell'oceano Pacifico, per vedere cosa è rimasto degli antenati degli ammutinati del Bounty e la risposta è un disastro di violenza e una produzione di francobolli di lusso. Il risultato è un libro che naviga per tutti i mari e i continenti arrivando in luoghi che normalmente non vengono mai nominati eppure raccontano molto del mondo e di dove sta andando. Ci sono le selvagge isole Marchesi, nella Polinesia Francese, dove sopravvive una bellezza da paradiso perduto, c'è l'arcipelago gulag per eccellenza, le Curili, un arcipelago di 56 isole che si trovano tra l'estremità nordorientale dell'isola giapponese di Hokkaid e la penisola russa della Kamchatka - un confine da sempre conteso dalle due superpotenze - separando il mare di Ochotsk dal Pacifico settentrionale.
Ma tra tutti i luoghi raccontati forse il più incredibile è Nauru, isola-nazione della Micronesia, a nord delle Isole Salomon. Davvero un microcosmo che racchiude un bel pezzo di post moderno. Riduciamo la vicenda all'osso. Nauru è considerata la repubblica indipendente più piccola del mondo, sia per abitanti, sia per superficie, in quanto gli Stati più piccoli (la Città del Vaticano e il Principato di Monaco) non hanno istituzioni repubblicane. Nauru è anche diventata, per un certo periodo, una delle nazioni con il reddito pro capite più alto del pianeta. Una volta ottenuta l'indipendenza il 31 gennaio 1968, sotto la presidenza di Hammer DeRoburt, i diritti sulle miniere di fosfato (fondamentali per produrre fertilizzanti) vennero acquistati dal Regno Unito nel 1970. Questo consentì agli abitanti un balzo economico enorme: una strada circolare attorno all'isola, un aeroporto che però passa in mezzo alla strada circolare portando alla creazione dell'unico semaforo del posto (quando è rosso atterrano gli aerei), grossi macchinoni per girare in tondo sulla strada, la popolazione che si abbuffa di cibo spazzatura e diventa la più obesa del Pacifico... Inutile dire come finì la corsa in tondo quando la miniera di fosfati si esaurì.
Ed è proprio a partire da Nauru che la letteratura di viaggio di Lupis intercetta un pezzo di letteratura insulare pura, ovvero il romanzo - anch'esso appena pubblicato - di Davide Ferrario L'isola della felicità (Feltrinelli, pagg. 176, euro 17). Ferrario, che più di un lettore ricorderà come regista di Tutti giù per terra (1997) e Figli di Annibale (1998), a Nauru non c'è mai stato. Ma dopo avere letto sui giornali del destino dell'isola, che per sopravvivere economicamente ha anche accolto, dietro compenso, i respingimenti di immigrati provenienti dall'Australia, l'ha trasformata in un paradigma. Il romanzo inizia raccontando le guerre per le isole del guano (sì, il fosfato insulare, preziosissimo, deriva dalla merda di uccelli depositata per millenni) e poi ci porta su una Nauru ridotta in essenza. Racconta con grazia e commozione la storia di una discesa agli inferi partita dal sogno di star bene: "Nel giro di qualche anno, tutti smisero di lavorare. Non solo i maschi, ma anche le donne a casa. Perché spezzarsi la schiena a impastare e cuocere il pane quando lo si poteva comprare?". E intanto l'"Isola della felicità", cioè Nauru, si inabissa davvero come molti degli affioramenti del Pacifico. Una metafora della modernità? Lo scrivente ha incontrato i due autori qualche giorno fa all'UlisseFest, il festival del viaggio e la cosa più incredibile è stata constatare la consonanza nel raccontare Nauru tra Lupis che l'ha visitata e Ferrario che l'ha immaginata. Ci ha detto Ferrario: "In molti mi hanno chiesto se l'isola era solo una metafora... Li ho mandati a guardare sulla cartina".
E a proposito di cartine, se le isole sono letteratura, quando sono vicine alla costa producono anche gli stretti e la letteratura "da stretto" è il caso di un'altra nuova uscia editoriale, Lo stretto indispensabile (Touring Club Italiano, pagg. 320, euro 18), scritto a quattro mani dagli studiosi Franco La Cecla e Piero Zanini.
L'isola diventa la costa che si vede di là, il luogo in cui si arriva se si supera la corrente, l'attrito. Un luogo appunto indispensabile, con gioco di parole. Perché per dar ragione al poeta John Donne e far sì che nessun uomo sia un'isola, uno sforzo nella corrente bisogna comunque farlo, è strettamente indispensabile.