«La danza? Vi spiego perché piace sempre di più»

Milano, città della danza. O meglio: città che danza. Solo nell’ultimo mese, in occasione della Giornata Mondiale della Danza istituita dall’Unesco il 29 aprile, in onore di Jean Georges Noverre (primo teorico del balletto, nato a Parigi nel 1727), un susseguirsi pirotecnico di incontri, spettacoli, lezioni, rassegne (da Exister al Danae Festival, alle Giornate della danza promosse dal Comune in collaborazione con I Pomeriggi Musicali, ArtedanzaE20 e ArciMilano) ha animato la città a colpi di flamenco, capoeira, teatro-danza e Ballets Russes. Una stagione ricca e vitale soprattutto sul fronte del contemporaneo, con nomi internazionali come Wim Vandekeybus, Gìsele Vienne, Frédéric Flamand (che il 28 e il 29 sarà ospite del Teatro degli Arcimboldi con lo spettacolo Metamorphoses), o i connazionali Virgilio Sieni (stasera all’Elfo con la Commedia del corpo e della luce - Interrogazioni alle vertebre) o Susanna Beltrami (sempre stasera, all’Accademia Pierlombardo, con la performance d’avanguardia Kore e Psiche). Per districarsi in questa fitta trama di proposte, linguaggi e nazionalità abbiamo sentito una madrina d’eccezione, grande ballerina classica ma sempre attenta alla sperimentazione: Luciana Savignano, oggi impegnata nel ruolo di insegnante di danza contemporanea nel talent show «Academy», in onda tutti i giorni alle 14 su Raidue.
Come si spiega questo rinnovato interesse nelle programmazioni teatrali per il balletto, la danza e le sue espressioni più sperimentali?
«È un segnale positivo, che negli ultimi anni è andato accentuandosi a fronte di una domanda del pubblico sempre più vasta ed eterogenea».
Così vasta, secondo lei, da giustificare questo continuo proliferare di festival, spettacoli, dibattiti, persino convegni e libri?
«Bisognerebbe chiederlo agli organizzatori: certamente l’interesse del pubblico è cresciuto. Alla Scala i balletti fanno spesso il tutto esaurito, e anche il contemporaneo negli ultimi anni sta prendendo piede, soprattutto tra i giovani, che cercano linguaggi più immediati, che rispecchino la vita reale. Le geometrie morbide, i movimenti plastici, naturali del contemporaneo sono più facili da comprendere rispetto al balletto, visto come qualcosa di lontano, irraggiungibile».
La danza contemporanea è classificabile come un’evoluzione del balletto, o sono due mondi totalmente diversi?
«Il classico è la base di qualsiasi tipo di danza. Io stessa ho fatto classico tutta la vita, poi l’avvicinamento al coreografo Maurice Bejart, le sue linee all’infinito, il modo viscerale di interiorizzare i movimenti mi hanno aperto altri orizzonti. Quando uno spettacolo è di alto livello, che sia classico o contemporaneo poco importa. Conta la qualità, il valore artistico di un progetto».
La danza sempre di più mescola i propri codici con il teatro, le arti visive, la multimedialità, il video, l’installazione. Possiamo considerarla pioniera di un’«arte totale»?
«Certamente. Uno dei precursori del teatro-danza è stato proprio Bejart: già più di vent’anni fa nei suoi spettacoli c’era il parlato, il recitato, il cantato. La danza va in questa direzione: verso la contaminazione delle arti senza vincoli o costrizioni. Un modo libero e liberatorio di esprimersi. Credo sia questo il senso della danza di oggi».
Nel programma televisivo «Academy» lei insegna contemporaneo agli allievi della scuola. Come si trova in questo nuovo ruolo?
«È un’esperienza totalmente nuova, ma di alto livello. Con me lavorano Raffaele Paganini che insegna classico e Susanna Beltrami che cura le coreografie di contemporaneo. Alle preselezioni si sono presentati in mille: ne abbiamo selezionati 24, tra i 18 ai 24 anni, con alle spalle molti anni di studio. Le gare si tengono al sabato, in diretta: durante la settimana, invece, va in onda la sintesi delle prove.

Io non insegno, seguo i ragazzi e cerco di tirar fuori le loro potenzialità. Nella danza non c’è solo l’esecuzione di un passo: ci sono espressione, comunicazione, presenza scenica, personalità. La danza è rigore, disciplina, ma anche libertà. Ti fa vivere il mondo in maniera più leggera».

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