Vent'anni senza una verità. Era il 7 agosto del 1990 quando Simonetta Cesaroni, 20 anni, viene  trovata morta negli uffici dell'Associazione italiana alberghi della gioventù in via Carlo Poma  nel quartiere Delle Vittorie, a Roma, nel palazzo dei misteri. Uccisa da 29 colpi di tagliacarte  sferrate da un colpevole che non ha ancora un volto né un nome. Anche se da qualche tempo c'è  almeno un imputato: si tratta di Raniero Busco, che in quell'estate di vent'anni fa era il  fidanzato di Simonetta. Oggi deve rispondere, nel processo che riprenderà a ottobre, di omicidio  volontario aggravato dalla crudeltà. Per la pubblica accusa non c'è dubbio: fu Busco ad  afferrare quel tagliacarte e colpire violentemente Simonetta. A scatenare la follia omicida  sarebbe stata la reazione della ragazza a un morso al seno durante un approccio sessuale  consenziente; poi, uno schiaffo dall'aggressore e quei fendenti al volto, al collo, al torace,  all'addome.
 Di sicuro il processo negli ultimi mesi ha fatto tornare la vicenda sulle pagine dei giornali. Sono stati sentiti molti testimoni che hanno smontato e rimontato l'alibi di Busco, sono state  mostrate e spiegate prove scientifiche, sono stati sentiti familiari e amici. Ma il vero mistero  che si è aggiunto a mistero è il suicidio di Pietrino Vanacore, l'ex portiere dello stabile di  via Poma, primo arrestato per il delitto, tre giorni dopo il delitto. Fu poi prosciolto  definitivamente nel 1995 dai giudici della Cassazione. Il 9 marzo scorso, a tre giorni dalla sua  prevista testimonianza in aula, si tolse la vita. Altra ombra quella di Salvatore Volponi, ex  datore di lavoro di Simonetta. Tre volte è stato convocato dai giudici per testimoniare, tre  volte ha presentato certificato medico; in aula il legale ne ha sottolineato le precarie  condizioni di salute. Volponi ha sempre negato di conoscere gli uffici dove Simonetta lavorava e  dove fu trovata accoltellata; testimoni, però, dicono di averlo visto più volte uscire da lì. I  giudici gli hanno «offerto» un'ultima possibilità: lo hanno riconvocato per la prossima udienza;  se non sarà presente, acquisiranno le sue precedenti dichiarazioni. Del processo restano le  certezze dei consulenti tecnici del pm: la presenza di tracce di saliva sul corpetto e sul  reggiseno indossati da Simonetta il cui Dna è riconducibile a Busco. E poi, i segni di un morso  sul seno sinistro di Simonetta; una lesione che per gli esperti è contestuale all'omicidio e  compatibile con l'arcata dentale di Busco. Per la difesa, c'è una «vis accusatoria», per la  parte civile, i dati emersi in udienza sono «inequivocabili e portano tutti nella direzione di  Busco». Ancora pochi mesi e si saprà finalmente la verità, almeno quella processuale.
 Intanto è il momento del ricordo: «È un dolore che non sfuma, nonostante il tempo trascorso e il  silenzio volutamente scelto in un momento processuale particolarmente delicato», dice la sorella  Paola. «È un ricordo molto dolce quello che ho di Simonetta - dice Busco -. Ma non posso  tralasciare che è anche un ricordo per me molto doloroso.
Delitto Cesaroni, vent'anni di misteri. E un imputato
Era il 7 agosto del 1990 quando Simonetta venne trovata morta nei locali degli uffici in cui lavorava in via Poma a Roma. Un omicidio con 29 coltellate per il quel ora è sotto processo Raniero Busco, l'allora fidanzato della ragazza. Che però dice: «Di lei ho un ricordo molto dolce»
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