"Né reale né virtuale, ormai il mondo è ibrido"

"Un giorno una mia studentessa mi ha chiesto: qual è il problema se ho una relazione sessuale solo attraverso gli schermi?"

"Né reale né virtuale, ormai il mondo è ibrido"

«Un giorno una mia studentessa mi ha chiesto: qual è il problema se ho una relazione sessuale solo attraverso gli schermi?». Quale sia (o non sia) il problema è precisamente ciò su cui si interroga Davide Sisto, docente all'Università di Torino e al Master Death Studies & the End of Life dell'Università di Padova, in un volume pubblicato da il Mulino nella collana «Faustiana - Il destino dell'Occidente» curata da Aldo Schiavone. Il titolo del saggio è I confini dell'umano. La tecnica, la natura, la specie (pagg. 196, euro 16) ed è proprio da questi confini che inizia la conversazione con Davide Sisto, ovvero: esistono ancora, i confini dell'umano? «Di fatto io risponderei che questi confini, probabilmente, non esistono più. Quella che io tento di fare è proprio una panoramica di come le tecnologie digitali e le innovazioni scientifiche e tecniche ci stiano sempre più spingendo oltre i nostri limiti e oltre i confini del nostro corpo e delle possibilità riconosciute fino ad ora alla nostra mente». Il superamento delle barriere ha una base concreta: «È restrittivo sostenere che noi ci identifichiamo con la presenza fisica della nostra persona, poiché essa è costantemente estesa attraverso supporti, come gli strumenti mobili, e attraverso i mezzi artificiali che ci aiutano a sopperire alle nostre mancanze e/o a potenziarci». Insomma secondo Sisto bisogna già «guardare oltre» queste distinzioni e «mostrare gli aspetti positivi e negativi di questo trascendimento costante dei limiti».

Sisto è ottimista. «Vedo positivamente, in termini di benessere, l'idea di un'umanità che possa appropriarsi del suo destino biologico, un'umanità libera ed emancipata da forti confini materiali». Tanto da parlare di una «civiltà planetaria uniformata dalla tecnica e dalla tecnologia», per esempio dagli smartphone: «Strumenti come questi, che hanno caratteristiche uniformi e sono utilizzati ovunque, ci permettono di sviluppare una civiltà che tende a superare i confini, soprattutto quelli locali». Una civiltà uniformata può sembrare un incubo o, quantomeno, qualcosa di deprimente, ma questo rischio sarebbe scongiurato, secondo lo studioso, dalla particolarità locale. A sostegno cita una ricerca etnoantropologica condotta nel Regno Unito, prima della pandemia, sull'uso dello smartphone da parte delle persone anziane, appartenenti a undici comunità di nove Paesi diversi, dall'Uganda all'Irlanda, dal Giappone al Camerun: «L'elemento che determina l'omologazione è il tipo di tecnologia utilizzata; quello che la controbilancia è il rendere particolare l'utilizzo, attraverso una fruizione locale e individuale, per esempio del cellulare». Un tratto interessante di questa «civiltà planetaria» così pervasiva è il suo essere tipicamente occidentale; e questo proprio mentre l'Occidente attraversa una crisi politica e culturale. «Questo è un aspetto affascinante. Dalla metà del Novecento l'Occidente attraversa una grande crisi culturale ma, in parallelo, l'enorme sviluppo tecnologico da esso guidato, che è una delle caratteristiche fondamentali dell'epoca odierna, per l'impatto dell'innovazione sulle nostre vite, tende a controbilanciare questa crisi: le tecnologie che usiamo sono contraddistinte da una impronta occidentale».

Parte di questa impronta è, secondo Sisto, il fatto che la distinzione fra virtuale e reale sia «obsoleta». «Il concetto di onlife di Luciano Floridi è ormai un classico: gli schermi e i cellulari sono dei prolungamenti digitali della nostra fisicità, e lo sono al punto che non possiamo dire che quello che avviene attraverso gli schermi sia solo virtuale... Lì svolgiamo una sostanzialità materiale significativa. Pensiamo alla cartella di file nel nostro computer, o agli Avatar». Non c'è il rischio che il corpo venga cancellato? «No, perché ritengo si tratti di un prolungamento, non di una sostituzione: è un ampliamento della presenza umana nel mondo, che richiede una presenza anche al di qua dello schermo. Per questo i due mondi non sono più distinti, bensì ibridati».

Esplorando i confini dell'umano ci si ritrova alle prese con la possibilità fantascientifica di prevedere se il nostro corpo avrà una reazione allergica uscendo di casa e, quindi, di regolarlo per impedire l'imprevisto: una «autarchia» umana, legata a una sempre maggiore longevità, che ci porterebbe «a vivere in dimensioni diverse e a concepire la relazione con la finitezza in modo diverso». E ancora, a esplorare forme di creatività nuove, come «concerti virtuali o con avatar», o documentari immersivi come quello in cui si vive l'esperienza di un uomo rinchiuso in una cella. «Un modo diverso di esperire i luoghi» e, anche, il tempo: «Sono numerosi gli esperimenti sull'immortalità digitale, attraverso la creazione di gemelli digitali o avatar interattivi che raccolgono le memorie di vita di una persona, e con cui diventa possibile dialogare anche quando l'individuo è morto». O, ancora, ci sono esperimenti per allargare la nostra percezione sensoriale nel virtuale, per riprodurre «la sensazione tattile di un ragno» o, più futuristicamente, quella di un bacio. È così che si torna a quella studentessa, a quel confine già superato: quello di due corpi che si incontrano e si amano. Ma attraverso uno schermo...

Non è troppo o, peggio, troppo poco? «La razionalizzazione di queste innovazioni è nel non determinare una sostituzione ma nell'essere consapevoli di aggiungere esperienze. Non trasformarci in hikikomori e abbandonare il corpo, bensì arricchire la nostra vita».

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