La destra in ascesa nel Paese dove i comunisti vincevano con il 99,9%

La Cortina di Ferro è crollata 22 anni fa, ma nell’immaginario di molti italiani la Bulgaria è ancora quella stereotipata del «voto bulgaro», quella grottesca falsificazione che permetteva al partito comunista di pretendere ogni volta di aver vinto le elezioni (dalle quali l’opposizione era bandita) col risultato fisso del 99.9%. In realtà le cose sono molto cambiate. La Bulgaria è entrata a far parte della Nato e dell’Unione Europea (della quale è peraltro il membro più povero) e al governo da due anni c’è Bojko Borisov, esponente di un partito di destra che di propone come l’antagonista del principale vizio nazionale: la corruzione. Martellato dalla crisi economica che favorisce una dissanguante emigrazione, il Paese si dibatte tra tensioni sociali crescenti, non ultima quella rappresentata dal crescente risentimento verso gli zingari, accusati di comportamenti criminali su larga scala, e il futuro promette poco di buono.


Nonostante queste difficoltà, il voto delle presidenziali di oggi annuncia la fine del decennio socialista (postcomunista) al vertice dello Stato: Gheorghi Parvanov lascia il seggio, e il suo erede designato Ivaylo Kalfin non pare in grado di sostenere la concorrenza di Rossen Plevneliev, un imprenditore dello stesso partito del premier. La Bulgaria insomma annaspa, ma a sinistra non ci vuole tornare.

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