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I piani di Cina e Usa e le flotte in movimento: ecco la nuova era della potenza navale

Mar Nero, Mar Rosso, Mar Cinese Meridionale, le flotte da guerra delle maggiori pontenze mondiali sono tornate a svolgere un ruolo fondamentale nei conflitti e nelle nuove tensioni. Il mondo si prepara a una nuova era della "potenza navale"

I piani di Cina e Usa e le flotte in movimento: ecco la nuova era della potenza navale

La guerra sta tornando a imporsi sui mari. Lo scontro, fondamentalmente asimmetrico, che si sta consumando nel Mar Nero e nel Mar d'Azov tra Ucraina e Russia, si conferma essere il conflitto navale più "significativo" dai tempi della guerra delle Falkland. L'ampliamento e ammodernamento delle flotte da guerra di Cina, Regno Unito, Stati Uniti, e il dispiegamento di unità da battaglia "attive" nel Mar Rosso da parte della Coalizione internazionale "anti-houthi", riporta decisamente l'attenzione sulla nuova era della "potenza navale" che dopo decenni di sola deterrenza e proiezione di forza, si riconferma ancora una volta in tutte le sue declinazioni come asset strategico fondamentale per assumere un ruolo nello scacchiere globale.

L'affondamento di imponenti unità di superficie della flotta russa come la Moskova, e la recente perdita di unità importanti come la Kotovl a Kunikov causate dal temerario ed efficace impiego degli insidiosi barchini esplosivi Magura V5 ucraini dimostra come un terzo della flotta russa del Mar Nero sia stata affondata da una combinazione di Usv e missili da crociera; riecheggiando il mito di Davide contro Golia, scrivono sul Times, e sollevando fondamentalmente una questione delicata come la possibile “obsolescenza” delle attuali flotte navali delle grandi potenze. Da tempo minacciate dall’avvento dei più sofisticati missili antinave, ma ora anche da droni “kamikaze”; siano essi marittimi, come quelli usati con successo dai commando dell’intelligence militare ucraina; o aerei, come i droni di fabbricazione iraniana impiegati contro la Coalizione internazionale - senza particolare successo - dai ribelli yemeniti Houthi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden.

Una questione di numero

Un recente studio condotto dal Naval War College degli Stati Uniti ha sentenziato come la guerra navale moderna si basi essenzialmente sul numero di unità di superficie, sottomarine, di aerei imbarcati o schierati in un range utile su basi costiere o isole militarizzate, e ovviamente portaerei schierate, e sulla capacità di rimpiazzare ognuna di queste unità se perse in combattimento.

Questo portando ad esempio le battaglie aeronavali che hanno coinvolto l’Us Navy nel Secondo conflitto mondiale, impegnata in due teatri tanto distanti quanto diversi: quello dell’Atlantico delle scorte ai convogli, della guerra ai sottomarini e delle grandi operazioni anfibie, e quello del Pacifico dove si sono combattute appunto le grandi battaglie aeronavali con la flotta della Marina imperiale giapponese. Un teatro che nelle ipotesi degli analisti d'intelligence potrebbe anche tornare al centro delle questioni belliche nel futuro.

Il caso della Marina americana mostra appunto come nel giugno del 1940 (diciotto mesi prima di Pearl Harbor) la flotta dell’Us Navy contasse appena 478 unità. Nel Victory Day del 1945 erano diventate, senza contare le unità perdute in battaglia, 6.768 navi. La più imponente flotta da guerra della storia e del mondo.

Attualità strategica

Ridotte le flotte e amplificata la portata e le capacità letali degli asset navali, dalle portaerei agli incrociatori lanciamissili passando per i più temibili sottomarini a propulsione nucleare che trasportano missili balistici intercontinentali armabili teste atomiche, la potenza navale ha subito radicali cambiamenti nel corso della Guerra Fredda.

Oggi l'impiego di droni e i missili mostrato dagli ucraini nel conflitto con la Russia, vecchia potenza navale dell'epoca del bipolarismo, stanno “aggiungendo” qualcosa alla “vecchia convinzione secondo cui la capacità di superare le perdite fa la differenza nella guerra in mare”, spiegano gli analisti. Le perdite riportate dalla flotta russa nel conflitto ucraino dovrebbe riportare infatti la riflessione su quanto la potenza navale sia tornata ad essere sì “elemento centrale” nello scontro che si sta consumando Mar Nero e nel Mar Rosso, e su quale proiezione di potenza esse rappresenta e può rappresentare nelle aeree di tensione del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan una garanzia strategica. Ma anche sulla sua intrinseca "vulnerabilità".

A dimostrare l'attualità di questa concezione è proprio la crisi del Mar Rosso, che ricorda inoltre come le "basi stesse della prosperità", il sistema economico e addirittura le comunicazioni internazionali passino attraverso il mare. La minaccia rappresentata dagli Houthi, che lanciano da mesi attacchi indiscriminati ai danni delle navi mercantili lungo la rotta che passa per Suez, e di recente hanno attaccato i cavi sottomarini delle reti Aae-1, Eig e Seacom/Tgn-Eurasia ci ricorda quanto il dominio dei mari e la sicurezza delle rotte commerciali siano essenziali. E non meno essenziale è la capacità di sorvegliare le reti di comunicazione che corrono nelle profondità dei mari, proteggendole dalle operazioni più sofisticate condotte/tentate da potenze ai danni di sistemi avversari.

Il potere sui mari

Negli ultimi due anni densi di azioni belliche ed eventi significativi come non se ne registravano da decenni - dal sabotaggio del gasdotto Nord Stream 2 nel contesto dello scontro tra Kiev e Mosca che si sta consumando sul Mar Nero, all’aggressione indiscriminata da parte dei ribelli Houthi lungo le rotte che passano per Suez per interferire con la navigazione e interrompere il traffico di merci globale, per finire con la mai sopita crisi migratoria accentuata da nuove crisi nel continente africano - si è rinnovata la consapevolezza che solo attraverso il controllo del mare e delle sue rotte si può assumere un peso politico rilevante a livello internazionale. E imprimere “pressione” dove la strategia, sia essa militare o economica, lo richiede. Si pensi alle nuove rotte dell’Artico ad esempio, attualmente "congelato" nell'attenzione della stampa ma sempre polo strategico degli interessi futuri.

Proprio per questa ragione la Cina sta investendo molte delle sue risorse nell’ampliamento della sua flotta per dotarsi di nuove portaerei, sottomarini e navi d’altura per accompagnare l'espansione nel Mar Cinese; blindando ogni atollo artificiale e hub che riuscirà a stabilire lungo il "filo di perle” che conduce dal Pacifico all’Oceano Indiano, fino al Mar Arabico e all’Africo. Ciò dimostra come Pechino abbia ben compreso l'importanza del prossimo "secolo marittimo" e come le nuove e vecchie potenze lo giocheranno attraverso il rafforzamento delle flotte per esibire una superiorità navale come deterrenza o risorsa in quella "potenziale grande guerra nei mari cinesi" che potrebbe dipendere o essere anche scollegata dallo scontro ipotetico che potrebbe scoppiare nello stretto di Taiwan.

La corsa al riarmo delle grandi flotte

Solo nell’ultimo decennio la Cina ha aggiunto alla sua flotta di superficie il doppio delle navi schierate dall’intera Marine Nationale francese che pur vanta una posizione di rilievo, essendo una delle poche potenze del mondo a possedere una portaerei a propulsione nucleare, la Charles de Gaulle.

L'obiettivo cinese, annunciato già anni fa, è quello di raggiungere il numero di portaerei schierate dalla Marina degli Stati Uniti (12) e per questa ragione potenze regionali come Giappone e Australia stanno già "investendo" nel rafforzamento delle loro marine militari per integrare capacità di risposta, sia per quanto riguarda le unità di superficie, sia per quando riguarda le capacità sottomarine. Si pensi al patto Aukus stretto dall'Australia. Lo stesso sta facendo il Regno Unito con il suo programma di ampliamento della flotta che, dopo lo schieramento delle due nuove super portaerei, si prepara a varare 13 fregate.

Uno sforzo che sembra ispirato dalla prospettiva di poter o dover "affrontare collettivamente" la crescente sfida che potrà disputarsi sui mari.

E questo nonostante il caso del Mar Nero abbia palesato come le grandi "flotte" siano più adatte a scoraggiare potenziali aggressioni che a combattere grandi guerre ora che una manciata di missili ipersonici potrebbero annientare un'invincibile armata che non riuscisse a scongiurare la minaccia con una combinazione efficace di guerra elettronica e contromisure difensive all'altezza dell'avversario.

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