Politica

La discarica c’è, ma è su quattro ruote

All’ingresso c’è una fila di 150 mezzi in attesa: ciascuno trasporta 150 quintali di rifiuti

nostro inviato a Caivano (Caserta)

La statale che porta alla zona industriale di Caivano si arricchisce di uno strano panorama: le piazzole di emergenza hanno cambiato destinazione d’uso e pullulano di sacchetti di plastica maleodoranti. Qualcuno è arrivato fin qui per liberarsi della munnezza lontano da casa propria. Forse è un involontario omaggio all'impianto a cui si arriva alla fine della strada, che nei periodi «normali» riceve buona parte dell’immondizia prodotta a Napoli e nell’hinterland: il cdr di Caivano.
Lungo il bordo dell’ultimo tratto asfaltato sono allineati centinaia di compattatori, i camion che raccolgono la spazzatura dai cassonetti. Saranno 150, ognuno in media porta nella «pancia» 150 quintali di immondizia. Sono tutti pieni. E sono tutti fermi qui dal due gennaio. Il che, fatti due conti, da un lato vuol dire che qui ci sono oltre 2000 tonnellate di spazzatura che attendono di essere «conferite», e dall’altro che questi veicoli non possono tornare per le strade a svuotare i cassonetti, e le strade sommerse di rifiuti, della Campania. Insomma, è una discarica su ruote a cielo aperto. E se ne accorgerebbe anche un cieco: l’odore è nauseante, l'aria è impregnata di questo puzzo dolciastro, e in pochi minuti lo sono anche i polmoni. Meno male che almeno non fa caldo e i rifiuti fermentano con meno virulenza. Gli unici a cui sembra non importare un granché sono i cani che giocano di fronte alle sbarre abbassate dell’impianto. Sono nati qui, per loro la mancanza di traffico è solo un opportunità in più per giocare. Per chi vede le montagne di sacchetti arrivargli alle finestre di casa, invece, il blocco dell’impianto cdr di Caivano è una rovina.
Questa fabbrica, insieme alla «gemella» di Giugliano, chiusa da fine dicembre, dovrebbe trasformare l’immondizia di Napoli e del suo hinterland nelle ormai celebri «ecoballe», destinate a diventare combustibile per i termovalorizzatori. Almeno virtualmente, perché la guerra «ecologista» ai bruciatori ha fatto sì che finora in tutta la Campania non ne sia entrato in funzione nemmeno uno. «E così le ecoballe finora sono state stoccate nelle discariche: è per questo che si è deciso di riaprire Pianura. Ma ora le discariche sono piene o bloccate, e dunque noi non possiamo accettare altra immondizia: la catena è spezzata», sospira il responsabile di turno dello stabilimento, che dà lavoro a 80 persone. Preme un interruttore all’interno del grande capannone dove i camion scaricano il loro contenuto, sollevando una delle tende che coprono gli accessi alla «vasca» dove comincia il processo di lavorazione.
Il sipario si alza su uno spettacolo incredibile. Nella luce giallastra c'è un’imponente montagna di rifiuti dal colore indefinibile. Sarà alta trenta metri, gronda liquidi, la puzza prende alla gola, i pipistrelli gli volteggiano sopra. «Il livello dovrebbe restare un metro sotto i nostri piedi, ma siamo andati ben oltre. Però più di così l'impianto non può contenere», spiega ancora l’uomo, allargando le braccia. «Per ora lavoriamo solo i rifiuti organici, ma siamo pronti a ripartire se il ciclo si sblocca. Aspettiamo un input dal commissario».
Fuori, quell’input lo aspettano anche quattro autisti dei compattatori. «Niente nomi, per carità», premettono. Uno di loro ironizza: «Parlare di emergenza è comico, sono 15 anni che va avanti così...». Fanno i turni, in attesa che la situazione si sblocchi, per avvertire i colleghi quando si ripartirà. «Ci vorranno giorni a riassorbire questi camion e altri giorni per ripristinare condizioni dignitose per le strade, anche perché approfittando del caos la gente butta tra i rifiuti di tutto, dai copertoni alle reti dei materassi.

Non è solo il pesce che puzza dalla testa, anche la spazzatura».

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