Marcello DOrta
Si racconta che il dittatore ugandese Idi Amin Dada eliminasse gli oppositori prendendoli a martellate in testa. Ebbene, il sottoscritto non metterebbe piede in una discoteca neppure se il fantasma di Dada minacciasse di sfondargli il cranio. Per capire le ragioni di questa mia avversione, basterà sapere che amo (che ho sempre amato, sin da bambino) la musica classica e il silenzio.
Non la pensano come me, evidentemente, i sei milioni di giovani, d'età compresa fra i 14 e i 20 anni, che vanno in discoteca almeno una volta alla settimana (ma in periodo estivo molto di più). Si tratta di ragazzi che, nella maggior parte dei casi, frequenta la scuola, e «scarica» le tensioni al ritmo di una musica tenuta ad un volume che molti (e io tra questi) giudica infernale.
Ed ecco quanto si osserva entrando in uno di questi luoghi (ammetto di riferire altrui descrizioni, perché la prima e unica volta che sono entrato in una sala da ballo è stato nel 1977, come a dire nella preistoria).
Al centro della struttura, la «cubista» (trattasi non di una seguace di Picasso, ma di avvenente giovane che balla su una piattaforma cubica) con acrobazie da alcova, strofinamenti su un palo (diciamo così «allegorico») e conseguente spogliarello, induce la massa degli uomini in tentazione (il sesto e il nono comandamento ne escono con le ossa rotte).
Luci psichedeliche o stroboscopiche illuminano monconi di sala, facce di giovani sovraeccitati, corpi in movimento.
L'alcol scorre a fiumi (fiumi Lete, Acheronte e Stige).
Pasticche di droga van giù come caramelle, e nell'eccitazione (nell'ecstasy) generale molti raggiungono lo «sballo».
Una specie di girone dantesco (direi il secondo cerchio dell'Inferno) o regione oltremondana (non per niente alcune discoteche si chiamano «La fine del mondo» e «L'altro mondo»), dove la trasgressione è, secondo i casi, tollerata, permessa o «realizzata»: «I nostri salottini saranno il posto ideale per le amiche appariscenti e senza inibizioni», «lo scambismo non è vietato, ma si richiede discrezione e buona educazione» (così recitano alcune pubblicità).
Uno spazio sovraffollato che massifica tutti, ma è proprio quel che vogliono i giovani. Perché sparendo «i nomi e i cognomi, le professioni, le classi sociali (...) si diventa indefiniti, e cessano di esistere tutti i disagi e le frustrazioni» (Vittorino Andreoli, psichiatra) legate ai rapporti con la gente (familiari compresi), al mondo del lavoro o della scuola.
All'indomani delle «stragi del sabato sera», c'è sempre qualcuno che tuona contro le discoteche, reclamandone la chiusura. Ma a mio parere questo sarebbe uno sbaglio. Se le discoteche serrassero per davvero le porte, ho paura che leggeremmo più spesso di suicidi di adolescenti e fatti di Novi Ligure.
Ciò detto, chiudo il computer e vado a mettere sul piatto del giradischi un Notturno di Chopin.
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