Il disgelo del buonsenso per l’alt al «doping legale»

RomaQuel «non ci sto» di Gianni Petrucci che rievoca un ex presidente della Repubblica risuona nel Salone d’onore del Coni nonostante la sua voce sia un po’ rauca. L’atto d’accusa del numero uno dello sport italiano è durissimo: «Il calcio di vertice è malato di doping legale, gli avvocati illudono i presidenti». Ma alla fine di una giornata intensa, spunta l’idea di una sorta di tavolo della pace, a partire dalla querelle dello scudetto 2006.
Nel mirino di Petrucci c’è in primis la battaglia a suon di carte bollate della Juventus (mai citata direttamente dal presidente del Coni, anche se quel termine «doping legale» non lascia spazio a dubbi). Martedì sera la decisione del Tnas, dichiaratosi incompentente sul ricorso bianconero contro la mancata riassegnazione dello scudetto 2006, ha di fatto chiuso il percorso sportivo della querelle. Ma il club torinese ha comunque deciso di continuare a lottare sul piano della giustizia ordinaria (con una sconfitta già sicura riguardo il ricorso al prefetto di Roma per il commissariamento della Figc). «Condivido le decisioni di Tnas e Figc, ora a chi porta vantaggi proseguire? Se si fa un passo indietro se ne fanno due avanti - il messaggio di Petrucci -. Ho conosciuto l’Avvocato e ho rispetto per una famiglia che ha fatto grandi cose per il calcio. Portano avanti le loro idee: le rispetto ma non sono le mie. L’intelligenza e il buon senso devono prevalere sulle norme giuridiche, se il tifo eccede diventa malsano. Non so se sia giusto aver dato quello scudetto all’Inter, le regole però sono state rispettate, per il Coni il discorso è chiuso».
Ecco il suo «basta» rivolto alle azioni bianconere, ma anche all’immobilismo della Lega di serie A («assurdo che manchi da marzo un nuovo presidente, non capisco il motivo, possibile che su 60 milioni di italiani non ci sia uno che possa farlo?», ironizza il numero uno del Coni), ai presidenti milionari che vogliono fare le regole, ai duelli legali con la Lazio di Lotito e all’ultimo ricorso al tribunale civile di un club colpito dalla sospensione dei loro dirigenti dopo le sentenze di Calciopoli. Lazio, Fiorentina e Reggina si sono tirati fuori: sarebbe stato un azionista e in quel caso potrebbe essere solo il club romano.
Nel giro di circa sette ore arriva una sorta di scambio «mediatico» di messaggi tra Vinovo e Roma, con il sì istituzionale di Petrucci al tavolo politico invocato da Andrea Agnelli. «Ha usato parole di buon senso, mi auguro che sia un primo atto di disgelo. Il tavolo lo faremo il prima possibile, verificherò tempi e persone», così il presidente del Coni.
Che attende ora lo stesso buon senso dai presidenti dei club, riuniti oggi a Milano con gli avvocati nel Consiglio di Lega per elaborare un progetto di revisione dell’articolo 22 delle Noif (Norme organizzative interne federali), che prevede la sospensione dei dirigenti dalle cariche societarie dopo la condanna. Tema di attualità dopo la sentenza di Napoli che ha riconosciuto colpevoli tra gli altri Andrea e Diego Della Valle e Lotito.
«C’è arroganza di una parte del calcio, con furbastri e avvocati che vogliono riscrivere le regole - la dura reprimenda di Petrucci -. I presidenti credono di poter cambiare la legge perché mettono i soldi: io dico, i soldi sono vostri, ma le regole le fa lo sport e valgono per tutti, siano esse società quotate in borsa o meno. C’è un’assenza di rispetto per le regole, per l’etica. E difendo l’azione di Abete, persona corretta: volete che si metta in canottiera e mostri i muscoli?. Non è vero che chi urla più forte ha ragione». Ora la Lega rischia il commissariamento. «Se continua così il calcio sarà commissariato dall’opinione pubblica», dice Petrucci. Che riceve l’appoggio di Moratti («Un invito del presidente del Coni? È una persona perbene ed è un’istituzione importante. Non mi posso sottrarre e mi farebbe piacere. Sono al suo fianco: basta tribunali per il pallone, il calcio torni uno sport») e via sms da Roberto Mancini.


E in attesa del tavolo politico, nasce al Coni un comitato di cinque saggi (tra cui Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica), che «dovrà mettere a punto norme contro l’arroganza» e valutare nuovi strumenti di difesa contro il continuo ricorso alla giustizia ordinaria. Un lavoro da portare a termine entro Natale.

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