Quando nel 1985 fu diagnosticata la distrofia miotonica al marito e al figlio della signora Margareth Boweler, per lei fu una liberazione. Prima di allora, infatti, pensavano che i sintomi del bimbo fossero causa di una scarsa affettività familiare. La consapevolezza, però, è stata solo il primo passo verso la lotta a questa malattia. Il nome, distrofia miotonica, non dice molto. Anche se proprio Milano ospita uno dei massimi esperti del settore: Giovanni Meola, professore ordinario di Neurologia dell'Università degli studi, che ha voluto organizzare in città il sesto Consorzio internazionale sulle distrofie miotoniche. Oltre 350 esperti provenienti da tutto il mondo insieme a numerosi pazienti e ai rappresentanti delle associazioni dei malati. Obiettivo principale: comprendere tutti gli aspetti della distrofia miotonica con l'intenzione di raggiungere al più presto una terapia adeguata.
Esistono due differenti tipologie di questa malattia: quella di Steinert (Dm1) la più grave, e quella più benigna, di Promm (Dm2). L'atrofia muscolare è il sintomo più comune, ma purtroppo non è l'unico. Essa determina complicanze in campo cardiaco, respiratorio, endocrino, gastroenterico, scheletrico, a livello del sistema nervoso centrale, dell'occhio, dei denti e dei capelli. Può comparire a ogni età: alla nascita, sotto forma di grave ritardo mentale e insufficienza respiratoria; in età adolescenziale, con disturbi comportamentali e cognitivi; in età adulta, con un variabile interessamento di diversi organi. «In Italia - spiega Meola - si ammala circa una persona su 8mila, per un totale di circa 8-10mila pazienti». Molti dei quali hanno come punto di riferimento il Centro neuromuscolare dell'Irccs Policlinico di San Donato diretto dallo stesso Meola.
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