«È come se ogni capitolo fosse l’atto di una commedia», ha dichiarato lo scrittore americano Paul Auster per descrivere Sunset Park (Einaudi, pagg. 228, euro 19,5; in libreria da lunedì), il suo nuovo romanzo. Sunset Park, come luogo (esiste realmente) e come romanzo è, nella testa di Auster, una sorta di limbo. È il posto dove Miles Heller - il protagonista - farà ritorno, in seguito ai ricatti di Angela Sanchez, sorella della ragazza minorenne con cui è andato ad abitare. Miles Heller abita in Florida, ha una vita tranquilla, relativamente felice, è appassionato di baseball, e - dopo tanti lavori - ora lavora per le banche, per le quali fotografa gli oggetti rimasti nelle case abbandonate che gli isituti devono vendere. Eventi imprevisti lo costringono a darci un taglio, a ritornare a Brooklyn (nel luoghi da lui abbandonati da quando ha lasciato la famiglia in seguito alla morte accidentale del fratello) a Sunset Park, dall’amico Bing Nathan, insieme ad altri ragazzi, in una specie di casa occupata. E dunque Miles si ritrova a fare i conti con un passato che aveva cancellato dopo la morte del fratello Bobby, quando aveva lasciato il college e si era spostato in continuazione, facendo lavori saltuari (esperienze che riecheggiano quelle autobiografiche di Auster, così come i rapporti difficili col padre - già descritti in L’invenzione della solitudine). Ma l’eremitaggio, il tentativo di annullamento dell’identità portato avanti per sette anni, si scontra ora con la realtà.
Il punto di vista si sposta, poi, anche sugli altri personaggi del romanzo; i coinquilini Bing Nathan, Ellen Brice, Alice Bergstrom. E soprattutto il padre e la madre di Heller. Lui dirige una piccola casa editrice e deve fare i conti con la crisi economica e con quella personale. Lei è un attrice che sta per tornare sul palco di Broadway, e forse dei personaggi del libro è quella con meno problemi - ma anche in lei ci sono incrinature, soprattutto dubbi sul ruolo avuto nell’allontanamento del figlio.
Questi cambi di passo sono prismi attraverso cui osservare esistenze che, come le vite evocate dagli oggetti che Miles fotografa nelle case abbandonate, rappresentano storie spezzate, fallimenti (uno dei temi tipici di Auster), possibilità di altre esistenze e altre trame. Sunset Park è un romanzo sulla crisi. Una crisi intima che, casualmente a quanto afferma l’autore, si è trovata ad essere contestualizzata nell’attuale crisi economica. È un romanzo sulla moderna vita americana e sull’inquietudine contemporanea. Sulla gioventù e sul passato. È, in un certo senso, la risposta austeriana a Freedom di Franzen. I temi sono quelli tipici di Auster: identità, spazio, linguaggio, letteratura. Miles Heller è una sorta di Telemaco (paragone suggerito da Auster stesso nel libro) e come Telemaco, la sua avventura è fatta di ritorno e di ricerca. Le due parole chiave del libro sembrano essere house intesa come luogo fisico in cui stare, e home, intesa come famiglia, luogo spirituale in cui stare. Che cos’è «casa»? E che cos’è «famiglia»? sembra chiedersi in continuazione Paul Auster.
Sunset Park non è una svolta drastica nella narrativa di Auster, anche se, per una volta, è meno forte la tematica della narrativa e più in luce il tema della sospensione, dell’attesa di un mondo che è spezzato, monco. Sunset Park è anche un romanzo sul degrado della vita, riflesso materialmente nel degrado di New York. L’area descritta (Sunset Park, appunto) è una delle zone meno attraenti di Brooklyn, dove è facile immaginarsi le vicende di persone in difficoltà. Una curiosità: la casa occupata dove abitano i ragazzi che Auster descrive, esisteva realmente. Era chiusa e sbarrata da un paletto. Auster l’aveva fotografata e aveva portato le foto a casa per utilizzarle nelle descrizioni del libro, immaginandosi la vita all’interno dell’abitazione. Poco dopo la conclusione del romanzo, durante un sopralluogo con la televisione, Auster ha scoperto che la casa era stata demolita ed era rimasto solo un terreno incolto.
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