La doppia vita dell’«agente Betulla» il giornalista che si credeva 007

«Questa inchiesta mi ha impedito di svolgere la mia azione pacificatrice, di intervenire su Al Jazeera e di evitare gli attacchi al Papa»

Dapprima, come nome in codice, Renato Farina aveva pensato a Cedro: ma rinunciò per non confondersi con un amico libanese. Il nome in codice di Pio Pompa, invece, era Pino De Santis. Betulla e Pino: quando si dice il sottobosco.
Ciò risulta dalle carte, come tutto il resto: la storia di un giornalista che pareva già disperato prima ancora che l’inchiesta lo investisse come un treno: «Scusa la mia depressione, penso che la mia parabola si stia spegnendo nell’indifferenza generale», scrive in un inquietante sms del 26 maggio. Non è ancora successo niente, ma questo è Farina, la sua perenne lacerazione, la sua bulimia esistenziale, il suo cattolicesimo carsico tra tormento ed estasi: Farina è un personaggio che fu visto tirare testate nel muro (letteralmente) perché non gli riusciva un articolo.
Il giorno prima, 25 maggio, aveva riferito al Sismi di una presunta opinione di Gad Lerner su Tronchetti Provera; il giorno dopo, 27 maggio, aveva seguito per l’ennesima volta le istruzioni del funzionario del Sismi, Pio Pompa: c’era da scrivere che un attacco su Gaza era solo una questione palestinese, che Israele non c’entrava. Renato, scrivilo.
La falsa intervista
Sono le carte a dimostrare che le veline dei servizi segreti venivano cotte e mangiate così com’erano. Farina ogni tanto smistava ad altri, ma le cose importanti, come quel pezzone del 14 maggio sul caso Abu Omar, le scriveva con Claudio Antonelli. Il caso più clamoroso rimarrà quello del 9 giugno successivo, con Libero ad annunciare «rivelazioni» e a spiegare che era stato Romano Prodi, da presidente della Commissione europea, ad autorizzare i voli segreti della Cia in Italia. Titolo: «Sorpresa, dietro le missioni Cia il visto Prodi». Negli uffici del Sismi verrà reperito l’originale della velina trasmessa da Pompa sulla faccenda: identica all’articolo pubblicato da Libero. Non una verifica, non uno scrupolo per una notizia già falsa nelle premesse: mai l’Unione Europea potrebbe autorizzare voli o altre cose, ovvio, non avendo il potere di sovrapporsi agli Stati nazionali. C’è scritto nel trattato di Maastricht, ma non occorre averlo letto.
Farina al tempo non se cura. Proprio quel 14 maggio dice al suo cronista Antonelli di procurargli un incontro con il pm Armando Spataro: viene fissato in Questura per domenica 21 maggio, nell’ufficio del capo della Digos Bruno Megale. C’è Spataro, c’è il pm Ferdinando Pomarici e ci sono dei microfoni nascosti.
Pio Pompa era stato chiaro, Farina doveva inscenare una specie di falsa intervista con due obiettivi: capire se il Sismi fosse coinvolto nell’inchiesta su Abu Omar e depistare le indagini fornendo false informazioni. Le domande erano concordate con il Sismi, ma Farina da principio le prende troppo alla lettera: «Il Sismi c’entra con Abu Omar?», esordisce, facendo tremare i cornicioni. «I primi dieci minuti sono stati un crescendo di tensione», racconterà Antonelli, «anche perché Farina fece subito cenno a Dambruoso».
È il depistaggio: inventarsi un ruolo del pm Stefano Dambruoso nel rapimento di Abu Omar. «Le mie fonti, vicine agli americani, mi dicono che insomma Dambruoso non poteva non sapere», dice Farina ai magistrati. «Verbalizziamo», risponde Spataro. E Farina ad Antonelli: «Butta giù due appunti».
Antonelli non lo sa, ma sta compilando un’informativa per il Sismi.
E in serata, infatti, Antonelli gira gli appunti a Farina che ne aggiunge di suoi e gira il tutto a Pompa, che gira il tutto a Nicolò Pollari, direttore del Sismi. Farina si finge giornalista, Antonelli crede di farlo.
Un rumore, come un ronzìo
Pio Pompa, per molti aspetti, era comunque una fonte come un’altra, la Difesa lo presentava come «l’ufficio stampa» del Sismi: lo chiamano anche Tony Capuozzo del Tg5, Pino Buongiorno di Panorama, Claudia Fusani di Repubblica, Antonio Padellaro e Andrea Purgatori dell’Unità (incontrarono Pompa insieme al direttore del Sismi, Nicolò Pollari), Stefano Cingolani del Riformista e della Stampa, Mario Sechi e Gian Marco Chiocci del Giornale, Massimiliano Boccolini dell’Aki-Adn Kronos, Gigi Riva dell’Espresso, Vincenzo Sinapi dell’Ansa, Christian Rocca del Foglio. Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera e Luca Fazzo di Repubblica parlavano con gli 007 Mancini e Murgolo (arrestato per il caso Abu Omar) che avevano contatti quotidiani con Pompa. Qualcuno aveva con lui un rapporto amicale, ma il caso Farina è diverso: c’era un’amabile e personalissima confusione nella doppia vita di un vicedirettore già ingordo di suo di contatti e riconoscimenti: infinite come sempre, in quel periodo, le telefonate per segnalare i propri articoli, la spedizione di sms con antifone sui santi a personaggi che magari non sentiva da anni. È la routine di un vicedirettore bulimico: gente che chiama, Edoardo Raspelli che gli chiede di essere assunto, chiacchiere con monsignor Maggiolini e Paolo Bonaiuti, ovviamente ringraziamenti a Pio Pompa che gli farà avere dei biglietti gratuiti per le partite dei mondiali: dopo Italia-Ghana, è noto, Farina ringrazierà direttamente su Libero: «Ho usato amici che la sanno lunga. Fatta! Grazie a Pio e a Dio».
Urrà. E infatti il rapporto con Pompa prosegue giocoso come sempre. Farina, a fine luglio 2005, gli aveva chiesto una consulenza persino per duellare con Marco Travaglio a Primo Piano, sui Raitre. Può accadere che la qualità delle informative talvolta làtiti: il 10 giugno Farina riferisce a Pompa che il pm Spataro aveva interrogato diversi ufficiali del Sismi, ma lo sapevano tutti; un’altra volta Antonelli gli riferisce che Spataro è negli Usa per un convegno: e basta per farne un’informativa. «Mai avrei immaginato», dirà Antonelli, «che notizie tanto banali quanto riservate potessero uscire dalla redazione». Ma Farina con Pompa metteva le mani avanti: «Io ti do anche la pattumiera, poi sei tu a scegliere, perché molte cose che girano nell’ambiente giornalistico sono anche tentativi di depistaggio, no?».
Insomma tutto bene. I due non hanno sospetti neppure quando la sorte pare avvertirli. Pio: «Senti, perché c’è 'sto rumore?». Farina: «Io non sento nessun rumore. C’era un rumore?». «Sì». «Che rumore?». «Niente». «Un ronzio?».
Fuga per la vittoria
Le prime notizie sono sui quotidiani del 6 luglio: si parla di un ufficio clandestino del Sismi dove il funzionario Pio Pompa gestiva migliaia di dossier screditanti. Il direttore di Libero, Vittorio Feltri, informa che Farina e Antonelli sono indagati. Per favoreggiamento, si apprenderà. Verrà fuori che Farina risultava a libro paga del Sismi col nome in codice Betulla.
Ma Farina quel giorno è ai Mondiali di Germania coi biglietti di Pompa, e rischia di perdersi la vittoriosa semifinale coi tedeschi. Parla al telefono con Vittorio Feltri che lo rassicura: «Mi sembra che non stia in piedi... l’unica ca (...) che avete fatto è andare nell’ufficio del Spataro... andare lì a fare cosa?». Farina: «Ma no... è stato loro che... insomma mi piacerebbe sapere che ricordi ha Antonelli... Antonelli diceva...». Feltri: «Io ho parlato con Antonelli». Farina deglutisce e dice che insomma era andato dai magistrati solo «per tenere rapporti istituzionali», ma Feltri s’inquieta: «Non abbiamo bisogno di loro, i servizi segreti non c’hanno mai dato mezza notizia... quando abbiamo avuto bisogno di un verbale, di qualcosa... abbiamo dovuto procurarcelo per i ca (...) nostri». Ignora la doppia natura del suo vice, all’apparenza. Ignora, pure, che il suo vice su Libero aveva già piazzato paginate di veline: «Magari tu avessi la possibilità di muovere le pedine in quella maniera lì, avremmo 250mila copie, non 120... ma dov’è il problema? Dove sono i reati?».
Farina non lo spiega, e Feltri non lo apprende: a meno che la telefonata fosse la duplice commedia di chi pensava d’essere intercettato. Ai magistrati, comunque, Farina dirà così: «Ho sempre informato Feltri, gli ho sempre detto di queste cose e di questi rapporti, anche perché mi ha indirizzato lui a questo».
Vita spericolata
L’interrogatorio di Renato Farina, immortalato il 7 luglio 2006 per quasi 200 pagine, è qualcosa che lo scrivente non aveva mai visto in vent’anni di professione. Più che interrogatorio è psicoanalisi, seduta autocoscienza, autoflagellazione e delirio di onnipotenza che si alternano nella scia di un progressivo distacco dalla realtà. A inquietare non è tanto la sua apparente insincerità nel raccontare alcuni fatti, ma la sua apparente sincerità nel raccontare come il mondo ritenga che si relazioni a lui.
I magistrati Maurizio Romanelli e Stefano Civardi, quel giorno, vedono passare le ore senza che nulla quagli. Farina ha raccontato per ore di un suo ruolo in Serbia nel 1999, quando da inviato del Giornale, dice, fungeva da tramite tra Milosevic e il governo D'Alema. Nota: la circostanza è stata smentita con una certa decisione sia dall’ex ministro degli Esteri Lamberto Dini che da Giulio Andreotti, tuttavia «c’è stato un momento in cui io ero quello che trattava con Milosevic... Io ero contro la guerra sulla base delle indicazioni del Papa e volevo pagare stando sotto i bombardamenti, una cosa un po' eroica».
Ma Farina spiega che un giorno l’avvertono che vogliono ucciderlo: «Devi ripartire subito». Chi l’avverte? «Uno dei servizi, o un infiltrato dei servizi serbi, o uno dei servizi segreti del Pci». Il nome? «Non vorrei che questa persona fosse eliminata... glielo dico in un orecchio». «In un orecchio no», s’imbarazza il magistrato. «Io comunque non volevo ripartire, avevo più paura di tornare a rapporto dal mio direttore che di quelli che mi ammazzano». Il direttore era Maurizio Belpietro. Al Giornale, comunque, ricordano che Farina tornò senza preavviso, adducendo problemi di salute di un familiare.
Poi Farina passò a Libero, e Vittorio Feltri, dopo l’11 settembre, l’incaricò di contattare Francesco Cossiga per capire che cosa stesse combinando il Sismi. Cossiga gli disse che non nominare Nicolò Pollari a capo del Sismi sarebbe stato un errore capitale, e Farina si diede da fare: «Fatto sta che mi faccio parte di questa campagna giornalistica fino a sottoporla alla persona di Martino, il quale effettivamente sceglie Pollari». È merito di Farina.
Ecco perché Pollari volle conoscerlo. E fu subito intesa, scambio d’informazioni: «Il 95 per cento della mia attività giornalistica si occupa di tutto, cioè io sono un universalista, cioè faccio cose politiche, naturalmente poi vado in trincea quando si tratta di fare anche cose giudiziarie, ma non sono uno sbirro del giornalismo, non sono un pistaiolo... Di terrorismo italiano ci capisco, quando Feltri mi telefona e mi dice che le Brigate Rosse hanno sparato a uno a Bologna, io lo sapevo che era Marco Biagi».
Morale, Pollari chiede a Farina di attivarsi: «E allora lì c’è un problema di coscienza: se i servizi ti chiedono una cosa, tu che fai? Io ho pensato che c’era una guerra mondiale in atto». Una guerra che nessuno immagina: «All’Hotel Cavalieri Hilton di Roma mi si avvicinò una sorta di plenipotenziario dei servizi americani. Mi spiegò che non esiste solo la Cia, e c’è questo servizio che dipende direttamente da Condoleezza Rice». E chi era questo? «L’ammiraglio Capra». Prego? «Esiste, ho guardato su internet e ho visto che esiste un ammiraglio Capra». La Cia parallela, spiega Farina, vedeva Pollari come una sciagura e lo descriveva come un corrotto troppo propenso al dialogo col mondo arabo, insomma «non organico all’intelligence occidentale». Perciò Farina diffidò di Pollari, all’inizio.
Ma nel 2004, dopo l’attentato di Madrid, Feltri chiese a Farina di rifarsi sotto con Pollari. Il rapporto si riallacciò: «È come se mi fossi innamorato di Pollari», dice Farina ai magistrati. Farina lesse un rapporto su possibili attentati a Londra che su Libero tradusse così: «Tettamanzi e Formigoni nel mirino del terrorismo». «Fu una mia esasperazione», ammette Farina.
Ma è il documento del Sismi «Rischi e speranze» datato 3 dicembre 2003 a scolpire le convinzioni del soldato Farina: «Il documento usava dei termini riferiti a Berlusconi che io interpretai come quasi tradotti dal linguaggio del cabaret della sinistra, per cui ho pensato che ci fossero elementi di convergenza con questi ambienti, no? È stato uno dei miei cavalli di battaglia, l’alleanza oggettiva o soggettiva tra marxisti e islamici... Questa Cia alternativa ha in mente di distruggere il Sismi, è legata ad ambienti neoliberal americani che in coincidenza con l’avvento di Prodi e del centrosinistra vogliono cambiare i servizi. Questo saprei documentarlo».
Probabile, ma i soldi? Farina racconta che fu Pollari a presentargli questo Pio Pompa, uno che sembrava Renato Rascel. Il rapporto si consolidò. Il primo pagamento fu di 1500 euro, e Farina dovette firmare una ricevuta col nome in codice.
Intere pagine dell’interrogatorio di Farina, dopodiché, sono occupate dal suo dilaniamento nel cercar di spiegare che altri soldi lui non ne voleva, non gliene importava: semmai, «per quello che avevo fatto in Serbia, il che avevo buttato lì anche a Minniti e Manconi», Farina avrebbe gradito una nomina a commendatore. Non accadde: e accettò un rimborso forfettario per un totale di almeno 30mila euro. Questo sino a ieri: «Cinquemila ad aprile, 4000 a maggio, o a giugno», «Li ho usati d’accordo con mia moglie per delle liberalità... se uno invece li spendeva diversamente... cioè ho capito che dal punto di vista psicologico serviva a togliergli le inibizioni nel chiedermi delle cose». Ossia: «Li ho presi con l’idea, dentro la mia testa e il mio cuore, che poi mia moglie realizzava, e in parte anche io realizzavo, di fare delle liberalità nei santuari». Donazioni, elemosine. «Li ho messi dentro Santa Maria Maggiore, non volevo creare dei problemi, rifiutandoli».
Morire sul fronte
Alla fine dell’interrogatorio, segretato, arrivano i primi sms di solidarietà: da L'Opinione, dal Giornale, arriva anche una chiamata di Feltri che ha un’idea per toglierlo dall’imbarazzo, dice. Forse è l’articolo che Farina scriverà entro sera, e che il mattino dopo infatti è su Libero, «Farina ci scrive»: «Ho aiutato i nostri servizi segreti a difendere l’Italia dai terroristi», «La mia ambizione è sempre stata inconsciamente quella di Karol Wojtyla: lui morire nei viaggi, io sul fronte», «Non ho scritto su Libero una sola riga che non coincidesse con i miei convincimenti», «Sono reduce da sette ore di interrogatorio, ve lo vorrei raccontare, ma è stato segretato».
Ecco perché non ha scritto una parola dei soldi, mentre continua il circolo solidale: sms di Magdi Allam e Rula Jebreal, preghiere dedicate alla Vergine Maria, frammenti dei Vangeli di Marco e Luca, una chiamata a Bruno Vespa per complimentarsi di un suo articolo, messaggi anche da Gad Lerner: «Renato, questa tua storia mi ha turbato e addolorato... può darsi che io me la senta di scrivere qualcosa... Come puoi immaginare conoscendomi, avrei scelto di difendermi diversamente». Presto Lerner scoprirà che Farina, suo collaboratore all’Infedele, l’aveva tirato in ballo in un’informativa del Sismi: e inscenerà uno spot contro di lui su La7. Angosciato, il 14 luglio Farina cerca anche il Presidente della Repubblica, ma non glielo passano. A un amico dice che è ormai un possibile bersaglio del terrorismo islamico, che è un anello debole a dispetto della sua capacità di analisi («non voglio paragonarmi a Falcone, ma...») sicché potrebbero colpirlo anche le Brigate Rosse: «Non posso neanche chiamare Pollari... devo chiamare il ministro degli Interni... devo chiamare il ministro della Difesa... devo chiamare Manconi, la Procura... la Procura deve mettermi in sicurezza». Vorrebbe incontrare anche Bonini e D’Avanzo, dice all’amico: per dir loro che aveva fatto solo il giornalista. «Feltri mi chiede silenzio», dice.
Uno dei due
Il resto è cronaca. Il 28 settembre, Renato Farina si presenta all’Ordine dei giornalisti della Lombardia e chiede di poter patteggiare, fa «ammissione di responsabilità» e s’impegna a non occuparsi mai più di servizi segreti. Chiede una sospensione per due mesi, ma rifiutano. Ne propone quattro, rifiutano. Sei, rifiutano. Lo sospendono per dodici. Assolto il cronista Claudio Antonelli.
Il 30 ottobre la decisione dell’Ordine è impugnata dalla Procura di Milano, che per Farina chiede la radiazione. Intanto alcuni consiglieri comunali di Forza Italia propongono di conferirgli la Medaglia d’oro del Comune. Obiettivo: buttarla in politica, anche se, un po' come tutti i firmatari di appelli, molti probabilmente non sanno neppure di che si parla.
Il 9 novembre, il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti rifiuta di audire Farina. Lui allora manda una mail in cui spiega che l’inchiesta gli ha impedito di intervenire sul Al Jazeera, e quindi di evitare gli attacchi al Papa dopo il discorso di Ratisbona: «Non posso fare nulla in settori che risentivano di una mia azione pacificatrice». Scrive di aver ricevuto minacce di morte (troverà anche dei proiettili nella cassetta della posta) da parte del «Fronte rivoluzionario per il comunismo».

Scrive che era stato il tramite del Sismi durante tutti i rapimenti di italiani in Irak: «Ho preso denari per pagare le spese, ma in nessun modo sono stato contrattualizzato». Da allertare i sindacati: «Credo sia giusto che si ristabilisca la mia reputazione e mi si restituisca il lavoro».
Uno dei due.

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