E ora i cinesi taroccano anche le prostitute

Le ragazze, spesso minorenni, si spacciano per squillo giapponesi per essere più «quotate» nel mercato del sesso In via Sarpi sempre più i centri massaggi a luci rosse. Il vicesindaco De Corato: «Continuiamo con la linea dura»

La mafia cinese falsifica documenti, borsette, bolle di accompagnamento, giochi e Ferrari. E persino le prostitute cinesi si spacciano per squillo giapponesi. Così non è raro vedere annunci di centri massaggi (che poi si rivelano a luci rosse) rigorosamente «giapponesi» o annunci pubblicati da bordelli, che ufficialmente sono innocui locali notturni, dove le attrazioni sono «giovani giapponesi». Pare infatti che professionisti e industrialotti della Brianza escano pazzi per gli occhi a mandorla, ma Tokyo resta nell’immaginario più sexy di Pechino. E poiché nessuno chiede il passaporto alla fine della prestazione, i commercianti di «carne» danno ai loro clienti quello che vogliono. La prostituzione cinese era sicuramente il settore meno redditizio del bilancio della mafia gialla a Milano fino a qualche tempo fa. Adesso le operazioni di polizia, carabinieri e vigili urbani dimostrano che il trend è cambiato e in maniera decisiva da quando i cinesi hanno capito che le operaie del sesso possono fruttare molto di più di quelle piazzate davanti ai telai del pronto moda made in China. Così i loro «capi» - che fino a poco tempo fa destinavano le schiave e le baby-lucciole esclusivamente alle loro personalissime alcove - le sistemano perlopiù in appartamentini squallidi ma dall’apparenza dignitosa, in palazzi senza portiere, di facile accesso, magari con ingresso indipendente. Alcune stanno anche per strada, ma sono poche. Negli ultimi anni i residenti italiani di Chinatown hanno scritto lettere e lettere al Comune, lamentandosi che via Paolo Sarpi si stava trasformando in un quartiere a luci rosse e che i centri massaggi nascondevano ben altre attività. Il vice sindaco e assessore comunale alla Sicurezza Riccardo De Corato, all’inizio del 2008, faceva notare quanto Palazzo Marino abbia influito sia per migliorare la convivenza tra cinesi e italiani (la comunità dagli occhi a mandorla, secondo i dati aggiornati al primo ottobre 2008 conta, nel comune di Milano è la più numerosa d’Italia, con oltre 15mila residenti ufficiali che diventano in realtà 25mila) e nella lotta alla prostituzione per strada. «Solo nel 2007 - spiegava De Corato - la polizia municipale ha inflitto 2mila926 multe ai clienti sorpresi ad adescare prostitute in strada a Milano: un 45 per cento in più rispetto all’anno precedente. Sempre nello stesso anno, grazie anche al Patto per la Sicurezza, ben 76 “schiavizzate”, di cui 16 cinesi, sono state sottratte dallo sfruttamento dei loro protettori e hanno beneficiato del programma di aiuto e reinserimento». Tuttavia il processo di espansione della prostituzione cinese è in piena evoluzione e per fermarlo servirà anche un impegno governativo, come sostiene da tempo il vicesindaco. La polizia municipale, che sa che la comunità gialla è pronta a monetizzare tutto, anche dietro impulso dell’assessorato alla Sicurezza di Palazzo Marino, setaccia di continuo i locali tra le vie Niccolini, via Giordano Bruno e via Rosmini. E negli ultimi mesi hanno chiuso diversi «centri massaggi».

Ma non basta: i carabinieri di Trento, nell’ottobre scorso, hanno scoperto che la zona Sarpi è il centro di un giro di prostituzione di donne cinesi che si dirama in tutta Italia, ipotizzando anche il reato di tratta e riduzione in schiavitù.

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