Letteratura

E dal rotolo dell'Apocalisse uscì la poesia occidentale

La nuova versione di Giancarlo Pontiggia esalta il debito che Blake, Thomas e tanti altri hanno con la "Rivelazione"

E dal rotolo dell'Apocalisse uscì la poesia occidentale

Apocalisse, il libro che sigilla la Bibbia, è testo terribile, che si staglia, isolato, con artigli: dadi di brace in faccia agli esegeti, pappa per gli esagitati, infrangibile, rotolo ignifugo a ogni spiegazione, ispirato dunque spietato. Apocalisse: libro chiuso, perennemente attuale, lascia attoniti; riduce il tempo a un refolo, il mondo a un massacro, l'umanità a mattatoio. Libro della visione «e vidi» del rumore «e udivo» della scrittura «scrivi»; «quel che vedi incidilo su di un rotolo» Apocalisse è rotolo animato, a quattro dimensioni, anzi quattromila, che rende preistoria il cinema, va oltre il regno dei quanti, l'incunabolo della materia oscura, pullula di immagini che affiorano per ferire, feroci. Come ogni testo sacro, Apocalisse non si interpreta: si abita, vagito che va agito, agitato. «Libro ruvido quanto un romito che venga fuori da una spelonca tra i monti non conosce buone maniere di nessuna sorte... Non concilia nulla di piacevole, neppure riconcilia il lettore con se stesso, dandogli la soddisfazione di essere fino, intelligente, grande», scriveva don Giuseppe De Luca introducendo la traduzione dell'Apocalisse ad opera di Massimo Bontempelli, «con quella pulitezza di segni e di suoni che di per sé solo è un'eleganza; ancora di più una grazia». Ora la versione di Giancarlo Pontiggia, poeta, traduttore e classicista di genio ha volto in italiano, tra gli altri, Paul Valéry e Céline, Sallustio e Pindaro , appena pubblicata da De Piante (Apocalisse, pagg. 94, euro 18), è di gran lunga superiore, ci riconcilia con l'onniscienza lirica di quel libro inafferrabile, con la sua sostanza, anzi tutto, poetica e dunque profetica , di verbo brutale, da sguainare.

La distanza di torsione traduttiva è chiara, da subito. Questa è l'Apocalisse secondo la Cei: «Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve»; questo è Bontempelli: «Rivelazione di Gesù Cristo, quale Dio ha data a lui per chiarire ai suoi servi cose che debbono tra poco accadere»; questo è Pontiggia: «Rivelazione di Cristo/ che Dio diede per distenebrare i suoi servi/ sul futuro delle cose che verranno». Provate a sillabare, umettando di sacro le labbra: «diede per distenebrare i suoi servi». Possanza dell'endecasillabo, rollio allitterante, sintesi che sa di sibilo, pronta al pregare. Traducendo in versi, Pontiggia ricolloca Apocalisse nel suo arcano tabernacolo: è la grande fonte della poesia occidentale, abbecedario-abbeveratoio, lirico lavacro. Rivelazione inesauribile cioè: inevasa Apocalisse ha nei poeti i suoi profeti: si compie, per estensione, nei versi di Friedrich Hölderlin Patmos fa riferimento all'isola in cui Giovanni «fu rapito in spirito»: «Vicino/ E difficile a cogliersi è il Dio./ Ma dove è pericolo, cresce/ Anche ciò che salva» e in quelli di William Blake The Four Zoas sono i «quattro animali costellati di occhi» di Apocalisse: «Poi crollarono i fuochi d'Eternità con alti & laceranti/ Suoni di Tromba» , nelle rapinose illuminazioni di Rimbaud, nella Vision and Prayer di Dylan Thomas, nell'ossario verbale di Ungaretti (le Apocalissi, ad esempio, dove «la verità» accade «per crescita di buio»).

L'investitura lirica, di per sé, è sempre apocalittica. Così, a noi restano, restituite in lingua abbacinante, una serie di figure immedicabili: i cavalieri dell'Apocalisse «un altro cavallo, era di fuoco,/ e chi lo montava, e una daga grande/ e gli fu dato di togliere la pace dalla terra/ e che gli uomini si sgozzassero gli uni con gli altri» , l'invasione delle cavallette con «facce di uomini... capelli di donne... denti di leoni... corazze di ferro», la «donna vestita di sole» con «la luna sotto i suoi piedi», la bestia che saliva dal mare, «con dieci corna e sette teste/ e sulle corna dieci diademi/ e sulla testa un nome di bestemmia». Libro sottile come una rasoiata, ripido, Apocalisse blinda la dimora biblica per disintegrazione: Dio si rivela come «l'Alfa e l'Omega.../ che è, era, ed è per venire,/ colui che può tutto», come il «furore dell'Agnello». Eppure, la profezia/promessa con cui si serra il libro, «Io vengo tra poco... Io vengo tra poco», pare, da due millenni, parola di millantatore, di bugiardo mattatore, inesatto esito, esiziale belato. «Miseria più grande di tutte, la profezia neotestamentaria, l'ultima profezia, è la più inadempiuta, la più frontalmente contraddetta dalla storia», scriveva Sergio Quinzio, con consueto impeto caustico, nel Commento alla Bibbia. Secondo William Butler Yeats, apocalittico rovesciato, la «seconda venuta» è mostruosa: «forma con corpo di leone e testa d'uomo/ lo sguardo vuoto e spietato come il sole».

Forse i cavalieri devono perfezionare la propria opera e i segni, per realizzarsi, attendono la piena sovversione. Lungo è il lavorio dell'Anticristo; ci pare di vivere in dilaganti tempi demoniaci, capovolti: «chi ha intelletto/ conti il numero della bestia/ che è un numero di uomo// E il suo numero è seicento sessanta sei». Cifra laida, da esorcizzare con la preghiera del cuore. Nessuna esegesi, ripeto, può placarci: Apocalisse genere letterario che combatte quello tipico del cristianesimo, il tu-per-tu della lettera scoperchia il male, è canto che incarcera con sottofondo di trombe, ultima chiamata alla lotta, o con me o contro di me, stritolati tra l'Agnello e il Drago. Persiste, per noi inermi, ancora ignavi sulla via, la grande consolazione dell'«angelo che scendeva dal cielo» et vidi angelum decendentem de caelo e «afferrò il drago, il serpente antico, che è il Diavolo ed è Satana/ e lo legò per mille anni,/ e lo precipitò in Abisso,/ e lo chiuse». Il bene trionfa ma a noi non sarà risparmiato nulla.

Apocalisse dice che siamo sotto tiro, che verrà fatta razzia, che bisogna prendere posizione e che la misericordia morde al collo, squarcia: prostrarsi, a volte, è un addestramento alla bella battaglia.

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