Nuovo esposto denuncia alla competente Procura Militare della Spezia per l'eccidio di Montecchio, Reggio Emilia, 24 aprile 1945, ad opera dei partigiani. Lo firma ancora Marco Pirina, direttore del Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur di Pordenone. E lo rimette sul tavolo del procuratore Marco De Paolis. A volte ritornano, soprattutto quando non trovano requie. Un film già visto. Che Pirina su quel tavolo ne aveva scaricate di stragi da indagare. Proprio lo scorso anno di questi tempi. Come aveva fatto a Padova. Ma i veneti li aprirono i loro fascicoli. Li ascoltarono i loro fantasmi. In forza di un documento, scoperto da Pirina, che smontava il teorema delle amnistie. È il decreto luogotenenziale, firmato da Umberto II di Savoia il 12 aprile 1945, in cui «si riconoscevano come belligeranti le formazioni partigiane autorizzate dai Comitati di Liberazione Nazionale e si concedeva loro l'impunità fino all'occupazione del territorio italiano da parte del nemico. Cessata l'occupazione, tali formazione dovevano fare riferimento alla Convenzione di Ginevra». Niente più far west, si poteva arrivare ad un giudizio. Per i tanti «sconosciuti 45». Per i tanti che ancora cercano i corpi dei loro cari. Partono da qui per le procure militari i fascicoli sugli eccidi compiuti dai partigiani dopo la Liberazione. Ma La Spezia fa spallucce. De Paolis tiene per buone le amnistie. E passa la mano alle procure ordinarie di Savona, Imperia e Reggio Emilia. Che avviano indagini.
Silenzio. Libri di Pirina che ricompongono articoli e testimonianze di quegli anni. Un colpo ogni tanto da sinistra. Una commemorazione da destra. Poi la magistratura che fa il suo corso lento. Sempre attenti. Tutti. Poi un paio di articoli apparsi il 14 e 16 ottobre sulla stampa locale di Reggio Emilia stoppano lo scaribarile spezzino. Pirina torna alla carica con De Paolis dopo le dichiarazioni fatte dall'Istoreco (istituto storico della Resistenza Reggio Emilia) ai due quotidiani sui fatti del presidio di Montecchio: ventiquattro militi della Gnr fucilati dai partigiani il 24 aprile '45 nei boschi di Cernaieto. «Nel fucilarli i partigiani applicarono le disposizioni del Comando Militare Nord Emilia che (in data 6 e 16 aprile 45) prevedeva di passare per le armi i fascisti che, al momento della Liberazione, avessero opposto resistenza». Torna il teorema del decreto luogotenenziale. «L'Istoreco parla di Comando militare - insiste lo storico -. Quindi roba per il procuratore militare De Paolis». Parte un nuovo esposto-denuncia in riscontro alle dichiarazioni virgolettate apparse sui due quotidiani «perché vengano accertati eventuali responsabilità contro componenti della formazione militare partigiana, identificabile in atti presenti presso l'Istoreco di Reggio Emilia». Secondo testimonianze raccolte da Pirina, «i militi della GNR, per mediazione del parroco, si consegnarono prigionieri ai partigiani dopo un violento scontro, con patto di resa che garantiva loro il trattamento dovuto ai prigionieri di guerra, salvo le successive azioni giudiziarie a carico di eventuali responsabili di atti criminosi. Contro di loro furono invece applicate le disposizioni del Comando Militare Nord Emilia. Questo in violazione della convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri disarmati». Pirina sottolinea come l'Istoreco neghi la resa dopo lo scontro in cui perse la vita anche un partigiano. Allora «perché in territorio completamento liberato fucilarono i militi disarmati nel bosco di Cernaieto, distante alcuni chilometri? All'Istoreco dicono di avere i documenti che testimoniano passo per passo quanto accadde. Li mostrino e spieghino l'eccidio».
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