Non è roba da poco quando un libro contro la violenza maschile lo scrive un uomo. E non un uomo qualunque, ma il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, insieme all'avvocata Ilaria Ramoni, che conosce bene le aule giudiziarie e i loro silenzi. Il titolo Mai più cosa vostra (Mondadori, pagg. 144, euro 18) richiama volutamente la mafia, e non è una trovata di marketing. Gli autori vedono un legame profondo tra subcultura patriarcale e subcultura mafiosa: entrambe si fondano sul silenzio, sul possesso, sulla logica del comando. "La donna non è soggetto ma oggetto", scrivono. Come dire: la famiglia patriarcale e il clan mafioso si reggono sulla stessa gerarchia biologica.
Il fatto che a firmare ci sia un magistrato uomo dà al testo un valore simbolico e quasi istituzionale. Roia non è il solito progressista che pontifica, ma uno che da quarant'anni vede i fascicoli: uomini che picchiano, umiliano, controllano. E riconosce che il patriarcato non è un'invenzione da sociologhe militanti, ma una cultura di dominio sopravvissuta alla legge del '75 che abolì il "capo famiglia". Dice bene: non basta spegnere una norma per cambiare un costume. Ci vogliono decenni, forse secoli. E il contagio arriva ai giovani adulti: nel 60 per cento dei casi di violenza di genere a Milano, gli autori hanno tra i 18 e i 40 anni. Altro che retaggi del passato: il patriarcato è vivo, vegeto e connesso su Instagram.
Fin qui, onore al merito. Tuttavia, mi sia concesso un sospiro. Ho sempre provato un certo fastidio per la parola "femminicidio", non per negare la realtà degli orrori, ma per la mania di catalogare ogni delitto in una casella sociologica. Quando un uomo uccide una donna che vuole lasciarlo, è un assassino, punto. Non serve la categoria ideologica. Ma Roia non cade in questa trappola moralista: nella sua audizione parlamentare ha detto che serve una definizione giuridica chiara, non uno slogan. E ha pure messo in guardia dai rischi di un automatismo penale che rallenta la giustizia. Finalmente un uomo che parla di violenza contro le donne senza scadere nel catechismo femminista.
Il libro, scritto con stile asciutto e documentato, non indulge in sentimentalismi. Ramoni e Roia mostrano come la sopraffazione maschile si rinnovi nel linguaggio, nei ruoli lavorativi, perfino nei tribunali, dove a volte i pregiudizi si annidano tra giudici donna non meno che tra uomini. E ricordano che la libertà femminile nasce prima di tutto in famiglia, non nei decreti ministeriali: è lì che si tramanda o si spezza il modello del padre-padrone.
Io, lo confesso, resto allergico a chi usa la parola "patriarcato" come una clava ideologica, ma riconosco che Roia lo adopera con misura, distinguendo tra tradizione familiare (che non è un male) e potere maschile (che lo è). E quando dice che "sono gli uomini a dover isolare gli uomini violenti", ha ragione. È una rivoluzione possibile, non retorica.
Un'ultima nota, un po' da guastafeste. Mancano nel volume e lo dico con rispetto alcuni elementi di contesto: il peso delle culture d'origine nei casi di stupri di gruppo, l'influenza dei modelli social e delle solitudini digitali. Non per scaricare colpe su etnie o religioni, ma per completezza di analisi. Se vogliamo capire il fenomeno, dobbiamo guardarlo tutto, non solo dove la luce è buona.
Resta un fatto anzi due: 1) su 69 persone uccise dal partner nel 2023, ben 64 erano donne (dati Istat, pag. 41 del nostro volume); 2) in Italia il tasso di femminicidi è tra i più bassi al mondo, terzultimo in Europa dopo Grecia e Svezia. Ci ho scritto un editoriale non si può dirlo, perché le buone notizie non fanno curriculum nel club dei giusti. Tuttavia, l'illustre anatomopatologa Cristina Cattaneo che stimo al di là del curriculum perché non si allinea mai e, dati scientifici alla mano, sostiene l'innocenza di Stasi a Garlasco ritiene che i numeri ufficiali andrebbero ampiamente rivisti al rialzo: molte donne classificate come suicide potrebbero essere vittime di omicidio mascherato. La chiamano "la cifra segreta dei femminicidi". Se avesse ragione lei, come temo, allora la tragedia sarebbe persino più grande, ma almeno sapremmo di che morte parliamo, invece di affidarci ai dogmi.
Mai più cosa vostra è dunque un libro serio, civile, non ideologico.
E Roia, che da giudice avrebbe potuto limitarsi alle sentenze, compie un gesto raro: prende parola da uomo, non da maschio. E questa mi spiace per gli agit-prop del patriarcato rovesciato è la forma più onesta di femminismo che mi sia capitato di leggere.