Ecco la mostra invisibile Mai viste opere d’arte così

Mai viste opere d’arte così. E sottolineo «mai viste». Signori, benvenuti alla prima mostra di arte invisibile. Rassegna di cui non si vede una ragione, a conferma del fatto che oggi l’arte può essere tutto e nulla. Ma ciò che sta andando in scena alla Hayward Gallery di Londra è qualcosa che va anche al di là del bene e del male. La perfetta metafora di un sistema-arte basato sul gas nervino spacciato per salubre arietta di montagna.
Dio ci liberi da curatori, critici, sovrintendenti, mercanti e direttori artistici: un blob informe che però (come nel caso della mostra Invisible: Art about the Unseen 1957 – 2012 alla Hayward Gallery) può sublimarsi in un happening di involontaria genialità; o meglio, di ordinaria furbizia.
Eccola la parola chiave: furbizia. In arte oggi vince il più furbo, non il più bravo. E l’esposizione londinese dedicata all’invisibile ne è la riprova: cinquanta opere-fantasma di artisti più o meno famosi. Con in testa lui, Andy Warhol, del quale viene esposto un piedistallo al quale si appoggiò.
«Questo - secondo Ralph Rugoff, direttore della Hayward Gallery - consentirà ai visitatori di trovarsi in presenza “dell’aura di celebrità dell’artista americano”». Afferrato il messaggio? Autentica fuffa spacciata per autentica cultura. Per fortuna a Rugoff non manca quel briciolo di ironia che l’ha portato a pubblicizzare la mostra al grido di The best exibition you’ll never see (la miglior mostra che non vedrete). Peccato che, un attimo dopo, Rugoff torni a fare il paraculo, dichiarando: «Il nostro obiettivo è quello di stimolare l’immaginazione dei visitatori». Che, effettivamente, di immaginazione dovranno averne davvero tanta. Ad esempio per muoversi - senza sentirsi degli idioti - nell’«Invisible Labyrinth» del danese Jeppe Heine: un dedalo immaginario all’interno del quale i visitatori vengono guidati da precise indicazioni che ricevono grazie a un’apposita cuffia stereo. Tom Friedman, «scultore concettuale» americano, è presente con due opere: «1000 hours of staring», un foglietto bianco che per cinque anni è stato osservato ripetutamente dall’artista e «Untitled (A curse)», uno spazio vuoto che sarebbe sotto un incantesimo di una maga. Boh. L’informatissimo sito capubianco.wordpress ci descrive inoltre come la messicana Teresa Margolles firmi una della più controverse installazioni: «Utilizzando un umidificatore alimentato dall’acqua usata in un obitorio di Città del Messico per lavare alcuni cadaveri di vittime di omicidi, crea una sottile nebbia che i visitatori, consapevoli della provenienza dell’acqua, devono attraversare». E poi: Yoko Ono, vedova di John Lennon, espone alcuni fogli dattiloscritti nei quali suggerisce a chi li legge di immaginare di trovarsi di fronte a un’opera artistica; più noioso di un film di Bertolucci, invece, il movie girato da Jay Chung, il quale per due anni ha effettuato le riprese senza mai inserire (per la gioia, forse, di Enrico Ghezzi) la pellicola nella videocamera.


L’italiano Gianni Motti presenta invece le sue tele dipinte con inchiostro simpatico mentre un altro italiano, Maurizio Cattelan, ha impreziosito i saloni della Hayward Gallery con l’unico oggetto visibile: la denuncia presentata dall’artista (e regolarmente accettata dalla polizia di Milano) nella quale dichiarava di avere subito il furto di una statua dalla propria abitazione.
Caratteristica principale della presunta statua trafugata? Essere «invisibile», ovviamente.

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